venerdì 26 dicembre 2008

Il Natale di un tempo oscuro

[Pubblichiamo l’editoriale di questo mese del mensile dei gesuiti, Popoli, scritto dall’arcivescovo emerito di Milano, cardinale Carlo Maria Martini]

Forse, per comprendere meglio il mistero del Natale, dovremmo fare astrazione, almeno per un certo periodo, da quelle immagini con cui la fantasia ha ammobiliato la nostra mente e che ricorrono quasi necessariamente quando pronunciamo questo nome. Si tratta per lo più di immagini prese dal racconto del Vangelo secondo Luca. Esso ci lascia un'impressione di luminosità e di serenità: una grande luce compare sulla terra (Lc 2,9), si ode il cantico di pace di una moltitudine dell'esercito celeste (Lc 2, 13-14), mentre con i pastori andiamo ad adorare il bambino che è nato (Lc 2, 15) e incontriamo Maria e Giuseppe che contemplano il loro primogenito (Lc2, 16). Tutto questo è vero e fa parte del mistero del Natale. Ma è importante anche ricordare il contesto oscuro in cui tutto ciò avviene. Un viaggio faticoso da Nazaret a Gerusalemme per soddisfare la vanità di un imperatore, le pesanti ripulse ricevute da Giuseppe che cerca un posto dove possa nascere il bambino, il freddo della notte, il disinteresse con cui il mondo accoglie il figlio di Dio che nasce. E su tutto questo grava una pesante cappa di grigiore, di incredulità, di superficialità e di scetticismo, evidenziata nelle gravissime ingiustizie presenti allora nel mondo. Non si può dire che il contesto del primo Natale fosse un contesto di luce e di serenità, ma piuttosto di oscurità, di dolore e anche di disperazione.
IL MISTERO DEL PECCATO
Anche oggi, come allora, possiamo lamentarci di vivere in un periodo particolarmente oscuro e difficile. Basta pensare alla pesante crisi economica che mette tante famiglie in difficoltà, all'ingiustizia globale, alla crescente intolleranza verso gli stranieri e i poveri. Si aggiungano le tensioni religiose, gli smarrimenti delle giovani generazioni. Non sappiamo dire se il nostro contesto sia più oscuro e pesante di quello del primo Natale. D'altra parte è difficile che si possa trovare nella storia dell'umanità un contesto veramente favorevole all'uomo e alla sua dignità. Questo fa parte del mistero del peccato, che è un mistero di assurdità e di irrazionalità.
In tale quadro possiamo chiederci: come opera il mistero del Natale? Come affronta un contesto ostile o indifferente? Che cosa sa dire per il vero bene e la dignità dell'uomo?
In primo luogo appare chiaro che il mistero del Natale è un mistero di modestia e di piccolezza. Non ha la pretesa di introdurre modifiche di grande livello, che mutino il contesto in tempi brevi. E tuttavia il mistero del Natale introduce nel cammino storico dell'uomo quegli atteggiamenti quasi impercettibili, ma che permettono di cogliere la verità dei rapporti e di modificarli nel senso di un rispetto dell'altro, di una riverenza e di un'accettazione tali da poter influire anche su contesti più ampi.
TRE SEGNALI DI SPERANZA
Alcuni di questi atteggiamenti riguardano ogni tempo e situazione. Altri sono più specifici del nostro tempo e ad essi vorrei invitare a dare uno sguardo privilegiato. Ne segnalo tre.
Anzitutto un crescente amore e desiderio della Parola di Dio, specialmente di quella contenuta nella Bibbia. Essa si è manifestata sia nel recente Sinodo universale dei vescovi sia, in Italia, nella Bibbia letta notte e giorno, senza interruzione, per una settimana. Quest'ultima iniziativa, quasi una sorta di maratona biblica, non mancava di qualche ambiguità. Ma il comportamento dei lettori e dei fedeli e l'accoglienza silenziosa e riverente del pubblico hanno mitigato i timori della vigilia. Soprattutto vorrei ricordare, in questo amore alla Parola di Dio, la crescente capacità dei laici di leggere le Scritture e di pregare a partire da esse. Se si giungerà così a compiere finalmente il voto del Concilio Vaticano II (cfr Dei Verbum, n. 26), avremo un segnale di speranza che non deluderà.
Vorrei ricordare, come secondo segnale, il crescente desiderio di apertura ecumenica e interreligiosa, che vuole contrastare efficacemente le chiusure etniche e confessionali.
Ma soprattutto vorrei menzionare una serie di gesti che ho conosciuto in Israele che, non nascendo da un terreno propriamente biblico o cristiano, mi sono sembrati fiori purissimi germinati per opera dello Spirito Santo, che mostra la sua presenza anche nelle pieghe più difficili del mondo di oggi. Si tratta di famiglie ebraiche e palestinesi, che hanno subito ciascuna un lutto grave a causa della violenza (per esempio una ragazza uccisa in un attentato terroristico o un giovane ucciso in operazioni di guerra). Ora, invece di crogiolarsi nel desiderio di vendetta, queste persone si sono chieste: ma se io soffro tanto a causa di questa violenza ingiusta, quale sarà la sofferenza dell'altra parte per una violenza analoga? Così queste persone si sono cercate, hanno parlato e pianto insieme, e hanno elaborato insieme iniziative di pace e di riconciliazione coinvolgendo anche altri.
Questo fiore del Vangelo nato in un terreno non religioso mi è sembrato un segnale importantissimo della presenza di Dio in ogni cuore e mi dà motivo di speranza anche in un contesto oscuro e difficile come il nostro.[CO]

mercoledì 17 dicembre 2008

Bibliografia del Card. Martini

La bibliografia completa del card. Martini in varie lingue dal 1979 al 2006 si può trovare sul sito della diocesi di Milano.
Piuttosto che copiarla preferisco citare la fonte, nella speranza che non la cambino di pagina...

lunedì 3 novembre 2008

La commozione del card. Martini durante i funerali di Giovanni Paolo II

Questa bellissima foto ha immortalato la visibile commozione dell'"imperturbabile" card. Martini durante i funerali del papa Giovanni Paolo II che lo ordinó vescovo e gli affidó la diocesi di Milano all'inizio dell'anno 1980.

sabato 4 ottobre 2008

Libri: Paolo VI uomo spirituale di Carlo Maria Martini

Milano, 2 ott. (Apcom) - Martini legge Montini. È un cardinale sofferente nella voce, patito nel viso ma ancora intenso nell'animo quello che questa sera ha partecipato alla presentazione del libro "Paolo VI uomo spirituale", una raccolta di discorsi e scritti del cardinale Carlo Maria Martini sul pensiero e l'opera di Giovanni Battista Montini. Torna a parlare alla sua Milano dove per 22 anni ha esercitato la sua funzione di vescovo il cardinale Martini ed è per questo che il primo pensiero e il primo ringraziamento durante il suo intervento è rivolto alla platea. "Vorrei ringraziare tutti voi per questa testimonianza di fede. Con tanti vostri gesti di bontà e di amore mi avete costruito come persona per cui vi devo moltissimo", ha detto dopo aver apprezzato "l'audacia e la temerarietà di chi mi ha chiamato a parlare di persona". "Non so se riuscirò a dire bene e a stare in piedi fino alla fine - si è premurato di dire - è un atto di temerarietà mettermi di colpo in una fornace di emozioni. Ogni persona che vedo da qui mi riempie il cuore di sentimenti".

Nel ricordare la figura di Paolo VI, il cardinale Martini ripercorre con la memoria i momenti trascorsi con lui, le esperienze vissute al suo fianco. Lo descrive come un uomo "molto timido e quindi schivo, non un uomo per le masse, ma uomo del dialogo personale. Ha voluto essere l'uomo dell'ascolto del singolo. Era poi dotato di un riserbo e di profondo rispetto per il lavoro dei competenti. Ma soprattutto Montini fu per me come un padre. Ricordo la sua delicatezza, la sua prudenza quella volta in cui si rivolse a me, da rettore dell'Istituto biblico, per una proposta e gli fece notare che se la si fosse affidata solo ad un istituto sarebbe stata snobbata. Per questo creò un istituto ecclesiastico apposta". Riesce anche ad ironizzare su Papa Montini e sul volume in gran parte di suoi scritti. "Sono stupito delle cose che ho detto su Montini - ha ironizzato - questo libro contiene molte cose, ma molte altre se ne potrebbero aggiungere".

La fatica che aveva contraddistinto le parole iniziale del cardinale Martini svanisce man mano che il discorso incalza e lascia il posto alle riflessioni più intime. Fino a toccare un tema delicato e complesso come quello della morte. Quella morte a cui è dedicato il testo che il cardinale ha scelto per la lettura finale (fatta dall'attore Ugo Pagliai): "Pensiero alla morte" scritto da Paolo VI. "Ritengo che questo pensiero alla morte sia stato scritto da Papa Montini quando la morte era incombente, ma non imminente - ha detto il cardinale - io invece la sento imminente, e sono più o meno nell'ultima sala d'aspetto e so che se dovessi scriverne lo scriverei così. In questa esperienza definitiva mi ha aiutato Paolo VI con questo testo, ma mi è di grande aiuto anche l'ultima fase della sua vita, quando gli ho impartito gli esercizi spirituali e quando l'ho visto praticamente cedere al morbo che lo opprimeva". "Chiedo per sua intercessione - ha concluso Martini - di poter godere di questo suo sguardo di verità".

Le parole del cardinale hanno toccato le corde più intime dell'anima della platea che alla fine del suo intervento gli ha dedicato un lungo e sentito applauso di ringraziamento. Molti i rappresentanti della Diocesi Ambrosiana e i rappresentanti delle istituzioni locali presenti in sala. C'era anche il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, il professor Giovanni Bazoli, anche lui bresciano come Papa Montini. "E' un ritorno commovente quello di Martini questa sera - ha commentato Bazoli al termine dell'evento - dopo le sue parole di fronte alle brutture e alle bruttezze del mondo mi viene da dire che mancano luci come questa. In una serata così anche le catastrofi economiche diventano secondariee si è indotti ad andare oltre".

venerdì 3 ottobre 2008

"Pensiero alla morte" del card. Martini

Il Corriere della sera di oggi pubblica un intenso articolo sul card. Carlo Maria Martini e la sua riflessione nell'"imminenza della morte".
La notizia prende spunto dalla presentazione di un testo del cardinal Martini su Paolo VI, realizzata ieri sera nell'auditorium San Fedele dei gesuiti di Milano.
Leggi e guarda le foto.

sabato 16 agosto 2008

I primi 80 anni del cardinale Carlo Maria Martini

luglio 2007 - All'arcivescovo emerito di Milano cardinale Carlo Maria Martini è dedicato un omaggio televisivo, con molte immagini inedite.
Video prodotto da TELENOVA - La Chiesa nella Città, rubrica condotta da Annamaria Braccini.

sabato 2 agosto 2008

Attitudini ed esercizi per insegnare la fede in questo mondo

Insegnare la fede in questo mondo rappresenta nondimeno una sfida. Per essere preparati, bisogna fare proprie queste attitudini:

Non essere sorpreso dalla diversità.
Non avere paura di ciò che è diverso o nuovo, ma consideralo come un dono di Dio. Prova ad essere capace di ascoltare cose molto diverse da quelle che normalmente pensi, ma senza giudicare immediatamente chi parla. Cerca di capire che cosa ti viene detto e gli argomenti fondamentali presentati. I giovani sono molto sensibili ad un atteggiamento di ascolto senza giudizi. Questa attitudine dà loro il coraggio di parlare di ciò che realmente sentono e di iniziare a distinguere che cosa è veramente vero da ciò che lo è soltanto in apparenza. Come dice San Paolo: «Esamina tutto con discernimento; conserva ciò che è vero; astieniti da ogni specie di male» (1 Ts 5:21-22).
Corri dei rischi. La fede è il grande rischio della vita. «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt. 16,25). Tutto deve essere dato via per Cristo e il suo Vangelo.
Sii amico dei poveri. Metti i poveri al centro della tua vita perché essi sono gli amici di Gesù che ha fatto di se stesso uno di loro.
Alimentati con il Vangelo. Come Gesù ci dice nel suo discorso sul pane della vita: «Perché il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (Gv. 6,33).

PREGHIERA, UMILTÀ E SILENZIO

Per aiutare a sviluppare queste attitudini, propongo quattro esercizi:

1. Lectio divina.
È una raccomandazione di Giovanni Paolo II: «In particolare è necessario che l'ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell'antica e sempre valida tradizione della lectio divina che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l'esistenza» ( Novo Millennio Ineunte, N. 39). «La Parola di Dio nutre la vita, la preghiera e il viaggio quotidiano, è il principio di unità della comunità in una unità di pensiero, l'ispirazione per il rinnovamento continuo e per la creatività apostolica» ( Ripartendo da Cristo, N. 24).
2. Autocontrollo.
Dobbiamo imparare di nuovo che sapere opporsi alle proprie voglie è qualcosa di più gioioso delle concessioni continue che appaiono desiderabili ma che finiscono per generare noia e sazietà.
3. Silenzio. Dobbiamo allontanarci dalla insana schiavitù del rumore e delle chiacchiere senza fine, e trovare ogni giorno almeno mezz'ora di silenzio e mezza giornata ogni settimana per pensare a noi stessi, per riflettere e pregare.
Questo potrebbe sembrare difficile, ma quando si riesce a dare un esempio di pace interiore e tranquillità che nasce da tale esercizio, anche i giovani prendono coraggio e trovano in ciò una fonte di vita e di gioia mai provata prima.
4. Umiltà. Non credere che spetti a noi risolvere i grandi problemi dei nostri tempi. Lascia spazio allo Spirito Santo che lavora meglio di noi e più profondamente. Non cercare di soffocare lo Spirito negli altri, è lo Spirito che soffia. Piuttosto, sii pronto a cogliere le sue manifestazioni più sottili. Per questo hai bisogno di silenzio.

Fonte: Articolo pubblicato su Avvenire il 27 luglio 2008

venerdì 1 agosto 2008

Il cristianesimo nel mondo postmoderno

Per cercare un dialogo proficuo tra la gente di questo mondo ed il Vangelo e per rinnovare la nostra pedagogia alla luce dell'esempio di Gesù, è importante osservare attentamente il cosiddetto mondo postmoderno, che costituisce il contesto di fondo di molti di questi problemi e ne condiziona le soluzioni.
Una mentalità postmoderna potrebbe essere definita in termini di opposizioni: un'atmosfera e un movimento di pensiero che si oppone al mondo così come lo abbiamo finora conosciuto. È una mentalità che si distacca spontaneamente dalla metafisica, dall'aristotelismo, dalla tradizione agostiniana e da Roma, considerata come la sede della Chiesa, e da molte altre cose.
Il pensare postmoderno è lontano dal precedente mondo cristiano platonico in cui erano dati per scontati la supremazia della verità e dei valori sui sentimenti, dell'intelligenza sulla volontà, dello spirito sulla carne, dell'unità sul pluralismo, dell'ascetismo sulla vitalità, dell'eternità sulla temporalità. Nel nostro mondo di oggi vi è infatti una istintiva preferenza per i sentimenti sulla volontà, per le impressioni sull'intelligenza, per una logica arbitraria e la ricerca del piacere su una moralità ascetica e coercitiva. Questo è un mondo in cui sono prioritari la sensibilità, l'emozione e l'attimo presente. L'esistenza umana diventa quindi un luogo in cui vi è libertà senza freni, in cui una persona esercita, o crede di poter esercitare, il suo personale arbitrio e la propria creatività.
Questo tempo è anche di reazione contro una mentalità eccessivamente razionale. La letteratura, l'arte, la musica e le nuove scienze umane (in particolare la psicoanalisi) rivelano come molte persone non credono più di vivere in un mondo guidato da leggi razionali, dove la civiltà occidentale è un modello da imitare nel mondo. Viene invece accettato che tutte le civiltà siano uguali, mentre prima si insisteva sulla cosiddetta tradizione classica. Oggi un po' tutto viene posto sullo stesso piano, perché non esistono più criteri con cui verificare che cosa sia una civiltà vera e autentica.
Vi è opposizione alla razionalità vista anche come fonte di violenza perché le persone ritengono che la razionalità può essere imposta in quanto vera.
Si preferisce ogni forma di dialogo e di scambio per il desiderio di essere sempre aperti agli altri e a ciò che è diverso, si è dubbiosi anche verso se stessi e non ci si fida di chi vuole affermare la propria identità con la forza. Questo è il motivo per cui il cristianesimo non viene accolto facilmente quando si presenta come la 'vera' religione. Ricordo un giovane che recentemente mi diceva: «Soprattutto, non mi dica che il cristianesimo è verità. Questo mi dà fastidio, mi blocca. È diverso che dire che il cristianesimo è bello...». La bellezza è preferibile alla verità.
In questo clima, la tecnologia non è più considerata uno strumento al servizio dell'umanità, ma un ambiente in cui si danno le
nuove regole per interpretare il mondo: non esiste più l'essenza delle cose, ma solo l'utilizzo di esse per un certo fine determinato dalla volontà e dal desiderio di ciascuno.
In questo clima, è conseguente il rifiuto del senso del peccato e della redenzione. Si dice: «Tutti sono uguali, ma ogni persona è unica».
Esiste il diritto assoluto di essere unici e di affermare se stessi. Ogni regola morale è obsoleta. Non esiste più il peccato, né il perdono, né la redenzione e tanto meno il «rinnegare se stessi». La vita non può più essere vista come un sacrificio o una sofferenza.

U
n'ultima caratteristica della postmodernità è il rifiuto di accettare qualunque cosa che sa di centralismo o di volontà di dirigere le cose dall'alto.
In questo modo di pensare vi è un «complesso anti-romano». Siamo ormai oltre il contesto in cui l'universale, ciò che era scritto, generale e senza tempo, contava di più; in cui ciò che era durevole e immutabile veniva preferito rispetto a ciò che era particolare, locale e datato. Oggi la preferenza è invece per una conoscenza più locale, pluralista, adattabile a circostanze e a tempi diversi.
Non voglio ora esprimere giudizi. Sarebbe necessario molto discernimento per distinguere il vero dal falso, che cosa viene detto con approssimazione da ciò che viene detto con precisione, che cosa è semplicemente una tendenza o una moda da ciò che è una dichiarazione importante e significativa. Ciò che
mi preme sottolineare è che questa mentalità è ormai dappertutto, soprattutto presso i giovani, e bisogna tenerne conto.
Ma voglio aggiungere una cosa. Forse questa situazione è migliore di quella che esisteva prima. Perché il cristianesimo ha la possibilità di mostrare meglio il suo carattere di sfida, di oggettività, di realismo, di esercizio della vera libertà, di religione legata alla vita del corpo e non solo della mente. In un mondo come quello in cui viviamo oggi, il mistero di un Dio non disponibile e sempre sorprendente acquista maggiore bellezza; la fede compresa come un rischio diventa più attraente. Il cristianesimo appare più bello, più vicino alla gente, più vero.
Il mistero della Trinità appare come fonte di significato per la vita e un aiuto per comprendere il mistero dell'esistenza umana.

Fonte: articolo di Avvenire del 27 luglio 2008

giovedì 31 luglio 2008

La chiesa cattolica oggi: percezioni del card. Martini

Che cosa posso dire sulla realtà della Chiesa cattolica oggi? Mi lascio ispirare dalle parole di un grande pensatore ed uomo di scienza russo, Pavel Florenskij, morto nel 1937 da martire per la sua fede cristiana: «Solo con l'esperienza immediata è possibile percepire e valutare la ricchezza della Chiesa». Per percepire e valutare le ricchezze della Chiesa bisogna attraversare l'esperienza della fede.
Sarebbe facile redigere una raccolta di lamentele piena di cose che non vanno molto bene nella nostra Chiesa, ma questo significherebbe adottare una visione superficiale e deprimente, e non guardare con gli occhi della fede, che sono gli occhi dell'amore. Naturalmente non dobbiamo chiudere gli occhi sui problemi, dobbiamo tuttavia cercare anzitutto di comprendere il quadro generale nel quale essi si situano.

UN PERIODO STRAORDINARIO NELLA STORIA DELLA CHIESA Se dunque considero la situazione presente della Chiesa con gli occhi della fede, io vedo soprattutto due cose.
Primo, non vi è mai stato nella storia della Chiesa un periodo così felice come il nostro. La nostra Chiesa conosce la sua più grande diffusione geografica e culturale e si trova sostanzialmente unita nella fede, con l'eccezione dei tradizionalisti di Lefebvre.
Secondo, nella storia della teologia non vi è mai stato un periodo più ricco di quest'ultimo.
Persino nel IV secolo, il periodo dei grandi Padri della Cappadocia della Chiesa orientale e dei grandi Padri della Chiesa occidentale, come San Girolamo, Sant'Ambrogio e Sant'Agostino, non vi era un'altrettanto grande fioritura teologica.
È sufficiente ricordare i nomi di Henri de Lubac e Jean Daniélou, di Yves Congar, Hugo e Karl Rahner, di Hans Urs von Balthasar e del suo
maestro Erich Przywara, di Oscar Cullmann, Martin Dibelius, Rudolf Bultmann, Karl Barth e dei grandi teologi americani come Reinhold Niebuhr - per non parlare dei teologi della liberazione (qualunque sia il giudizio che possiamo dare di loro, ora che ad essi viene prestata una nuova attenzione dalla Congregazione della Dottrina della fede) e molti altri ancora viventi. Ricordiamo anche i grandi teologi della Chiesa orientale dei quali conosciamo così poco, come Pavel Florenskij e Sergei Bulgakov.
Le opinioni su questi teologi possono essere molto diverse e variegate, ma essi certamente rappresentano un incredibile gruppo, come non è mai esistito nella Chiesa nei tempi passati.
Tutto ciò è avvenuto in un mondo carico di problemi e di sfide, come la ingiusta distribuzione delle ricchezze e delle risorse, la povertà e la fame, i problemi della violenza diffusa e del mantenimento della pace. È poi particolarmente vivo il problema della difficoltà di comprendere con chiarezza i limiti della legge civile in rapporto alla legge morale. Questi sono problemi molto reali, soprattutto in alcuni Paesi, e sono spesso oggetto di differenti letture che generano una dialettica anche molto accesa.
A volte sembra possibile immaginare che non tutti stiamo vivendo nello stesso periodo storico. Alcuni è come se stessero ancora vivendo nel tempo del Concilio di Trento, altri in quello del Concilio Vaticano Primo. Alcuni hanno bene assimilato il Concilio Vaticano Secondo, altri molto meno; altri ancora sono decisamente proiettati nel terzo millennio. Non siamo tutti veri contemporanei, e questo ha sempre rappresentato un grande fardello per la Chiesa e richiede moltissima pazienza e discernimento.

Fonte: Articolo pubblicato su Avvenire il 27 luglio 2008

lunedì 28 luglio 2008

I verbi di Martini - affinché la parola corra


Giugno 2007:
Presentazione del libro: "I VERBI DI MARTINI. AFFINCHÉ LA PAROLA CORRA", edito dal Centro Ambrosiano per gli 80 anni del Cardinale.
con testimonianze di Mons. Giovanni Giudici vescovo di Pavia e dell'economista Mario Monti.

lunedì 21 luglio 2008

Notas biográficas de Carlo María Martini

El segundo de tres hermanos, Carlo Maria Martini nació el 15 de febrero de 1927 en Turín, en una familia de la burguesía industrial. Leonardo, su padre, era un ingeniero con una boyante empresa constructora. Su madre, Olga, una católica extraordinariamente devota. El niño fue enviado al colegio de los jesuitas, uno de los más prestigiosos de la ciudad. Y allí surgió la vocación. "A mi padre no le gustó demasiado la idea", diría después Martini. Quizá tenía otros proyectos para él, pero su destino estaba marcado. Sería jesuita.

Los primeros años de formación coincidieron con la II Guerra Mundial, pero los Martini no pasaron especiales apuros. A los 25 años, Carlo Maria es ordenado sacerdote. Una década después, tras licenciarse en teología y filosofía y completar su formación de jesuita, ocupa la cátedra de Crítica Textual en el Instituto Bíblico de Roma. En 1972 conoce a Karol Wojtyla, arzobispo de Cracovia, que le invita a visitar a los expertos bíblicos de su ciudad. Martini hizo el viaje en coche con su hermano mayor, Francesco. Fue el último que hicieron juntos. En octubre de 1972, su hermano muere de infarto cerebral. En apenas 18 meses, Martini pierde también a sus padres. La familia del cardenal se reduce ahora a su hermana menor, Maria Stefania, y sus sobrinos, Giulia y Giovanni.

Son golpes de la vida que le han marcado, como la enfermedad. El párkinson le acecha desde comienzos del nuevo milenio. Pese a los iniciales desmentidos oficiales, la noticia es del dominio público antes del cónclave de 2005. La muerte de Juan Pablo II ese año brinda una ocasión a la Iglesia para afrontar quizá la reforma que muchos desean. Los seguidores de Martini confían en sus posibilidades de ser elegido. El cardenal se presenta en Roma apoyado en un bastón. Los expertos saben que el bastón significa "no me elijáis, estoy enfermo", en el metalenguaje vaticano.

El País, 13 de julio de 2008

domenica 20 luglio 2008

Recuerdos del secretario del Card. Martini

Martini es, por encima de todo, un jesuita. Aprecia el silencio y las pausas en el ajetreo diario. Una regla de oro que mantuvo siempre en sus años de arzobispo. "Me obligó a dejar en blanco su agenda los jueves por la mañana", cuenta su secretario, don Valerio. Salían en coche hacia la montaña. Una vez en el punto elegido, cada uno se iba por su lado. Eso sí, con el teléfono móvil en el bolsillo.

Sin ser un montañero, Martini conserva de su infancia la afición por las excursiones a los Alpes. Las largas vacaciones familiares se dividían entre las playas de Liguria y las montañas cercanas a Turín. Su padre prefería las marchas. De arzobispo, Martini se atrevía a escalar los picos alpinos. Casi siempre los de la vertiente de la Suiza italiana, para no ser reconocido. Luego, purificado por las alturas y la soledad, regresaba a la curia y retomaba su agenda.

Gregorio Valerio le recuerda siempre correcto, incapaz de una mala palabra, aunque siempre distante. "Es un hombre pasional, pero se domina. Lo consigue a fuerza de voluntad y entrenamiento". Vestía clergyman, salvo en las salidas pastorales. Moderado en las comidas, el cardenal seguía una dieta férrea, dirigida por un especialista, al menos un par de semanas al año. Motivos de salud o quizá un deseo de purificación física. Hay un lado curioso también en la personalidad del intelectual, biblista de fama internacional y pensador rebelde: sus dotes de catador de vinos. "Al arzobispado llegaban muchos regalos, a veces cajas de vino. Yo siempre me fiaba de la opinión del cardenal. Cuando decía: 'Éste es un excelente vino de mesa', yo sabía que el vino no valía nada", cuenta su secretario.

El cardenal pasaba horas en su estudio privado, casi siempre con la puerta abierta. Cuando la cerraba era una señal de que no debían molestarle

sabato 19 luglio 2008

El lema cardenalicio de Carlo María Martini

No es casual que en 2000 el cardenal reciba el Nobel español, el Premio Príncipe de Asturias. A Martini le costó aceptar ese honor. Normalmente rechaza los premios. Le abruman los elogios, le interesan sólo los comentarios críticos, de los que aprende más. Ya lo dice el lema de su escudo cardenalicio: "Pro veritate adversa diligere - Amar las cosas adversas por amor a la verdad", sacado de las reglas pastorales de san Gregorio Magno.

venerdì 18 luglio 2008

Martini arzobispo de Milán

Carlo Maria Martini fue enviado adonde no quería siendo todavía un hombre joven. La decisión de Juan Pablo II de nombrarle arzobispo de Milán llegó en diciembre de 1979 y cayó como una bomba en los palacios obispales de Italia. ¿Quién era aquel jesuita, estudioso de las Sagradas Escrituras, sin experiencia pastoral alguna, que escalaba hasta lo más alto de la jerarquía nacional? ¿Qué sabía del mundo de la curia, de las obligaciones profesionales de un arzobispo, el estudioso y tímido Martini? A toda prisa, el papa le consagró obispo después del nombramiento con el que soñaban buena parte de los obispos de Italia. Él, el jesuita alto, de porte aristocrático, tímido y reservado, no aspiraba a la diócesis de San Ambrosio. Estaba a gusto como rector de la Universidad Gregoriana, un puesto en el que llevaba poco más de un año, después de casi nueve dirigiendo el Instituto Bíblico de Roma.

Cambió de ciudad y de vida, después de obtener el permiso del superior general de los jesuitas, Pedro Arrupe. Se instaló en el ala noble del palacio arzobispal, el que se asoma a la Via del Duomo. Y aprendió deprisa. Se percató enseguida del ritmo frenético de la ciudad. De la peculiaridad de su tarea pastoral en tiempos violentos. Los años de plomo daban sus últimos coletazos, con acciones terribles del terrorismo negro y de las Brigadas Rojas, que disparaban a las piernas a hombres de negocios y profesores universitarios. Condenó el terrorismo, pero no se negó a escuchar a los terroristas. Celebró funerales por las víctimas y bautizó en cierta ocasión a dos gemelos concebidos durante uno de aquellos juicios de alta seguridad contra brigadistas rojos. Martini visitó las cárceles, convencido de que en ellas no había espacio para la "rehabilitación de los presos"; recorrió hospitales y parroquias. Y desde el púlpito condenó el escándalo de Tangentópolis, el sistema de corrupción político-económica que acabaría por dinamitar la vida política italiana a comienzos de los años noventa.

Nada de esto le distinguió de los demás obispos. Fueron otras iniciativas las que dieron pie al mito Martini. La primera, leer el Evangelio a los jóvenes y dar espacio al silencio y a la meditación en sus vidas. La Escuela de la Palabra, como se denominó a estos encuentros mensuales, se revelaría todo un éxito. El Duomo registra llenos espectaculares en cada cita. Miles de jóvenes se reúnen ante el altar para escuchar los textos sagrados y meditar un rato sobre la propia vida.

En medio del frenesí diario de Milán -junto a Turín, motor económico de Italia-, Martini predica silencio y pausa. El segundo gran acierto del cardenal (Wojtyla le concede la birreta en 1983) llega en 1987. Y será bautizado como la cátedra de los no creyentes. Encuentros esporádicos con intelectuales laicos para debatir sobre las razones de la duda, de la fe, o de la falta de fe. Una frase del libro de Ratzinger Introducción al cristianismo, en la que reflexiona sobre el "no creyente que hay en todo creyente", le da la idea. El cardenal se inspira también en la sentencia del filósofo Norberto Bobbio: "Lo importante no es creer o no creer, sino pensar o no pensar". A partir de ahí, la cátedra despega. Martini debate con el semiólogo Umberto Eco y con decenas de intelectuales en aulas universitarias y salas de conferencias. Muchos de los coloquios se publicaron.

El País, 13 de julio de 2008

giovedì 17 luglio 2008

Condiciones de salud del Card. Carlo María Martini

El sueño de Jerusalén quedó roto hace unos pocos meses. El párkinson que le atormenta hace progresos, y Martini tiene que someterse a un tratamiento en la residencia-hospital que los jesuitas tienen en Gallarate (a unos 30 kilómetros de Milán). Un caserón del siglo pasado rodeado por un jardín, donde el paciente lleva una vida rutinaria, sin renunciar al trabajo.

Corrige, cuando se encuentra con fuerzas, las pruebas de la versión italiana del libro de Sporschill, y avanza en el análisis de las anotaciones marginales, o escoria, del Códex Vaticano (el manuscrito que contiene la versión en griego más antigua que se conoce del Nuevo Testamento, junto al Códex Sinaiticus). ¿Podría recibir a la periodista? El cardenal no se encuentra con fuerzas. En un gesto que confirma su escaso apego a lo protocolario, Martini llama personalmente para disculparse. "Estoy en tratamiento médico. Mi salud falla. Siento mucho decirle que no, pero no estoy bien". Su voz suena infinitamente frágil a través del teléfono.

"Está aprendiendo a hablar otra vez. Trabaja con un logopeda", explica Mons. Franco Agnesi, una de las cuatro personas con las que Martini compartió vida en su etapa de arzobispo.

El País, 13 de julio de 2008

mercoledì 16 luglio 2008

El Cardenal Martini en Ariccia

¿Quién es el jesuita que renunció a su estatus de príncipe de la Iglesia al jubilarse, para refugiarse en una austera residencia de la Compañía, cerca de Roma?

Gregorio Valerio, su fiel secretario, y Sandro, el chófer de toda una vida, le acompañaron a su nuevo domicilio un día de septiembre de 2002. Valerio recuerda todos los detalles. La habitación espartana, el estudio con una nevera vacía, el saco verde para meter la ropa sucia. El secretario se estremeció. "El cardenal suda mucho, me preocupaba que no tuviera ropa disponible. Aquella austeridad era algo tremendo. Los jesuitas, ya sabe como son", dice con gesto indescifrable. Felizmente supo antes de marchar que el cardenal -"aquí es padre Martini", había dicho uno de los internos- tendría baño propio. Cosas intrascendentes para quien cambió hace años una vida de comodidades por la severidad del mundo jesuita. Y además, Ariccia era sólo un lugar de paso. Su verdadero destino era Jerusalén.

El País, 13 de julio de 2008

Un hombre que se atreve a pensar

"El cardenal es simplemente un hombre que se atreve a pensar", dice el cirujano Ignacio Marino, que mantuvo con él un diálogo famoso, publicado por el semanario L'Espresso, en 2006. En él quedó patente el estilo Martini. El de un hombre dispuesto a escuchar las razones del otro, a buscar un punto de consenso, y sobre todo a no descalificar. Ahí está su sufrida aceptación de la investigación con ovocitos, antes de que las células que los constituyen comiencen a dividirse. O su rechazo al encarnizamiento terapéutico. Martini se ha esforzado por comprender el drama de los que practican la eutanasia, para evitar el sufrimiento a un ser querido, aun considerándolo un hecho terrible. Ante (...) la homosexualidad, su postura es cuando menos humana. "Tengo conocidos que son parejas homosexuales, hombres muy estimados y muy sociables. Nunca se me ha pedido, ni a mí se me habría ocurrido, condenarles", declara en su último libro.

El Pais, domingo 13 de julio del 2008

martedì 15 luglio 2008

Coloquios nocturnos en Jerusalén

Saco de la presentación del último libro del cardenal Martini por el periodico español "El País":

"A un libro como el suyo, Martini no le hubiera aplicado su expeditivo método de lectura. Apenas una ojeada a la portada, a la introducción y al índice, en busca de la esencia. "El cardenal ha dicho siempre que cada libro tiene una sola idea. Él la encontraba enseguida". Lo cuenta Gregorio Valerio, que fue secretario personal de Carlo Maria Martini en sus últimos años como arzobispo de Milán. Valerio guarda en el despacho de su casa parroquial, en una barriada milanesa modesta, montones de libros, recuerdos variados y discos de música clásica regalados por su eminencia.

Lo mejor del cardenal lo conserva en la memoria. Por ejemplo, ese pasmoso método de lectura, gracias al cual leía en tiempo récord muchos de los libros que llegaban a diario al palacio arzobispal. Yendo al grano, dejando de lado lo superfluo. Un método inaplicable para su último libro, Coloquios nocturnos en Jerusalén, porque no contiene una única idea. Estamos ante su testamento espiritual y personal (...)

En los coloquios redactados por Georg Sporschill, jesuita austriaco de 62 años, Martini habrá apreciado también ese impulso, orgé en griego, como le gusta decir al cardenal; esa cualidad vital que caracteriza a las obras inspiradas. Su publicación, en alemán, ha levantado ya la polvareda que suele acompañar a las declaraciones de Carlo Maria Martini. Infatigable buscador de verdades, este turinés de buena familia parece conservar intacta a los 81 años la capacidad de remover las aguas estancadas. Sin apenas levantar la voz, diciendo cosas que se alejan siempre del runrún oficial, de los lugares comunes..."

Muchos seguidores del cardenal liberal esperan este texto con expectación. Saben, por los resúmenes publicados, que recoge una conversación sin reservas con Georg Sporschill. Los dos se conocieron hace un par de décadas, en Viena. "El cardenal daba un cursillo para sacerdotes y trabajadores sociales de cárceles", recuerda el autor. A partir de ahí surgió la amistad. Sporschill admiraba al cardenal, y Martini siempre se interesó por el trabajo del austriaco, que se ocupa de los niños de la calle de Bucarest. Así, entre los dos, fue tomando cuerpo la idea de un encuentro a tumba abierta sobre las grandes cuestiones de la Iglesia, y las opiniones más personales del cardenal. "Le visité en Jerusalén tres semanas, a lo largo de varios meses. Cuando estaba allí, nos veíamos diariamente, conversábamos horas y horas, siempre que su salud lo permitía", precisa Sporschill a través del correo electrónico.

El resultado es un libro delgado, pero de contenido denso, y polémico. Martini confiesa en él las dudas que le han atormentado durante años. Su dificultad de comprender las razones de Dios para hacer sufrir a su Hijo en la cruz. Siendo ya obispo, Martini considera insoportable, a veces, la contemplación de un crucifijo. Tampoco era capaz de aceptar la muerte, hasta que un día comprendió. "Sin la muerte no nos entregaríamos totalmente a Dios. Nos quedarían salidas de emergencia abiertas". El cardenal emérito confiesa que soñó durante años en la posibilidad "de una Iglesia en la pobreza y la humildad, independiente de las potencias del mundo". Hoy ha dejado de soñar. Aun así, pide valor a la Iglesia para transformarse. Para aceptar que el mundo cambia. Aunque sólo fuera por puro pragmatismo, tendría que abrir los brazos a los sacerdotes casados, valorar la hipótesis de la ordenación de mujeres.

El País, 13 de julio de 2008

domenica 13 luglio 2008

A questo vescovo se gli togliamo la parola di Dio non gli resta più niente

Aneddoto raccontato dallo stesso card. Martini al termine di un corso di esercizi spirituali.
"Anch'io non ho altro che la parola di Dio" commenta l'arcivescovo emerito di Milano e ci lascia un intero testamento spirituale in questo frammento.


Video da non perdere assolutamente!!!!

Questo blog è dedicato al card. Carlo Maria Martini

Cominciamo con questa foto di un giovane card. Martini.