mercoledì 30 novembre 2011

La "Gioia Perfetta" non disdegna piegarsi sulle sofferenze proprie e altrui

Mi piacerebbe riassumere tutto il mio ministero più che ventennale a Milano con l'augurio: "La vostra gioia sia perfetta". Un augurio, una parola semplicissima, ma di cui abbiamo paura. Ci sembra che la gioia perfetta non vada bene perché sono sempre tante le cose per cui preoccuparsi, tante le situazioni sbagliate, le guerre, le sofferenza: con tali giuste ragioni noi ci priviamo della gioia perfetta.
Ma gioia perfetta non vuol dire non condividere il dolore per l'ingiustizia, per la fame nel mondo; è una gioia più profonda, dalla quale ci dispensiamo troppo facilmente pensando che non sia per noi, che stoni di fronte al coro di lamentele proprio della nostra società occidentale. Se apriamo i giornali, ci accorgiamo che ogni giorno c'è una polemica, un conflitto, una rissa, un sospetto, un retroscena, e così la nostra gioia si intride di tristezza, si rovina come se fosse marcia.
In realtà la gioia deve essere perfetta e vi auguro di scoprirla come gioia che non disdegna di piegarsi sulle sofferene proprie e altrui, perché ne abbiamo scoperto il segreto, quello di aver toccato il Verbo della vita che risana ogni esperienza  di sofferenza, di malattia, di povertà, di ingiustizia, di morte.

Efeso, 18 giugno 2002, card. Carlo Maria Martini

mercoledì 16 novembre 2011

Il Card. Martini a confronto con san Francesco

Noi ci domandiamo presso il luogo del beato transito di Francesco: che cosa ci impedisce oggi maggiormente di vivere la radicalità della fede? Ci troviamo di fronte, nel nostro mondo occidentale, all'ansia di possedere, alla paura di perdere, all'angoscia di rischiare, che rende tutti garantisti, aggressivi e polemici per la difesa del proprio benessere, sospettosi del bene altrui, solleciti più dell'interesse privato che del bene comune. Se dobbiamo dare un nome alla causa radicale della bramosia dell'avere più che del desiderio di essere, ci viene in aiuto la Bibbia: La paura della morte. La lettera agli Ebrei presenta Gesù come Colui che ha liberato, con la sua morte e risurrezione, coloro che "per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita" (Ebr 2,15). Quando l'orizzonte dell'immortalità e dell'eternità si restringe e si offusca, l'uomo si chiude nel presente, difende con accanimento quel poco che ha: avverte che la morte è come in agguato per rapirgli i suoi beni e li vuole godere il più a lungo e il più intensamente possibile, tentando di esorcizzare e di dimenticare la sua finitudine. Tratto dall'omilia del cardinale C.M.Martini nella festa di san Francesco, Assisi, Basilica Patriarcle di san Francesco, , 4 ottobre 1995