sabato 18 febbraio 2012

L'esercizio dell'autorità del Vescovo: rischi e suggerimenti secondo il card. Martini

Nel suo recente libro su "Il vescovo" il card. Carlo Maria Martini prende in considerazione il delicato tema dell'autorità della chiesa. Presento due cammei intriganti con le due facce opposte dell'autorità: quella rigida e incapace di ascoltare e quella ispirata alla Parola di Dio e alla considerazione della persona umana.

Alcuni difetti portano grande danno al servizio del vescovo: l'autoritarismo e la rigidità. Autoritario è quel vescovo che in nessun caso ammette il dialogo né ascolta i suoi consiglieri, ma fa tutto quello che gli viene in mente non accettando nessun consiglio (pur magari vendono chiesto). In tal modo rompe i legami che già si erano creati con il suo successore e si sente non solo vescovo, ma papà e re della sua diocesi. Se poi è di temperamento collerico, allora non risparmia nessuno con le sue esternazioni. (35-36)

Il governare nella Chiesa va esercitato su uomini liberi, che sono però capaci di lasciarsi ispirare dall'amore. Una tale autorità non comprime le coscienze ma le fa crescere facendole conformare al modello della Trinità.
È a questo punto che mi sentirei di menzionare brevemente alcune caratteristiche dell'uso dell'autorità nella chiesa che mi sembrano particolarmente importanti per il nostro tempo. Indicherei le tre seguenti: il rispetto della persona, della sua autonomia e della sua intelligenza. A questo proposito sono sempre meno coloro che accettano di lasciarsi gare ciecamente dalla pura autorità, anche se non mancano rigurgiti di fondamentalismo fanatico. Mi pare però che venga d ai numero sempre crescente di persone, anche nel cristianesimo, il desiderio di capire, di comprendere, le ragioni di quanto chiede l'autorità.
L'attenzione alla singolarità della persona, alla sua irripetibilità e incomparabilità e alla sua debolezza, hanno effetti molto più duraturi anche davanti a richieste esigenti. Molti hanno bisogno di essere capiti e amati prima di essere guidati con comandi e precetti. Nel contempo si sente oggi un grande bisogno di sicurezza, di appoggio e di forza ispiratrice. Per questo mi pare che la Parola di Dio ispirata e ispirante abbia un grande rilievo nell'odierno esercizio dell'autorità nella chiesa. (49-50)

giovedì 16 febbraio 2012

Mutui rapporti tra i vescovi e i religiosi, con postilla sui movimenti

Sorprende per realismo e schiettezza l'ultimo libro scritto dal Card. Carlo Maria Martini ("il vescovo", pp. 71-73, Rosemberg & Seller, dicembre 2011).
Riporto come esempio tre ficcanti pensieri a proposito delle congregazioni religiose. Il primo di essi amplia la notazione critica anche ai movimenti laicali cattolici.

"Si tratta di relazioni mutue, che quindi richiedono disponibilità da ambo le parti. E ciò anzitutto perché i religiosi, in particolare gli ordini religiosi e le congregazioni maschili, si sentono giuridicamente "esenti" dall'autorità del vescovo e quindi in grado di lanciare iniziative che possono collidere con il programma pastorale della diocesi. (...)
Lo stesso si deve dire anche dei movimenti, con la differenza che spesso i religiosi sono più obbedienti mentre i movimenti sfuggono a un rapporto speciale col vescovo. I movimenti, a cui accenno qui brevemente, sono per lo più un falso nome che viene dato a gruppi organizzati sotto una autorità molto esigente e quasi dispotica.
...
Come seconda cosa direi che tutti i religiosi, pur con le diversità che li caratterizzano, sono chiamati alla testimonianza del Vangelo della misericordia. È ciò che li qualifica come veri religiosi, non un imputazione puramente esteriore di un titolo o di un abito. Ne segue che non tutti coloro che si fanno chiamare religiosi sono veramente tali. Ricordo che la prima volta che incontrai (da vescovo n.d.r.) la rappresentanza dei religiosi, tutti gli interventi furono su questioni i rivendicazioni canoniche e su problemi giuridici. Alla fine dissi: "Dal vostro parlare non ho recepito niente di ciò che costituisce la sostanza della vita consacrata".

Terzo: non bisogna pensare che la pastorale diocesana parta solo dalla curia. Ogni iniziativa che abbia l'approvazione del vescovo è "diocesana". Il vescovo e il vicario generale devono avere una visione di Chiesa ampia e capace di integrare tutti".