giovedì 20 novembre 2014

Per entrare in preghiera contemplativa di fronte alle beatitudini, il regno e la giustizia

Le Beatitudini
Incominciamo a riflettere sull’insieme del brano delle Beatitudini, conosciuto anche dai non cristiani; sappiamo, ad esempio, che Gandhi lo citava spesso, e così pure altri personaggi del mondo non cristiano.
Quante solo le Beatitudini secondo Matteo?
Talora si risponde che sono otto, ma se le contiamo attentamente ci accorgiamo che in realtà sono nove:

Introduzione agli esercizi spirituali sulle beatitudini

“Vieni, o santo Spirito, riempi i nostri cuori, nessuna parola sia al di fuori del clima di preghiera nel quale vogliamo vivere questi incontri. Fa che nell’interiorità e nel silenzio, ci possiamo ritirare là dove il mistero di Dio raggiunge il cuore dell’uomo e cambia veramente il mondo. Maria, madre di Gesù, intercedi perché la nostra preghiera sia intensa, autentica, tale da penetrare e purificare la nostra vita”.

Desideriamo compiere insieme l’esercizio della lectio divina sulla pagina del vangelo di Matteo che inizia il grande discorso della montagna Mt 5,1ss. Il tema è dunque quello delle Beatitudini, e vorrei ricordare che facendo la lettura pregata della parola di Dio siamo convinti di obbedire al Vaticano II che, nella Costituzione dogmatica Dei Verbum afferma: Il Santo Sinodo esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli … ad apprendere la sublime scienza di Gesù Cristo, con la frequente lettura delle divine Scritture (DV 25).
Lo scopo che ci proponiamo, perciò, è di apprendere la sublime scienza di Gesù, di riconoscere il cuore di Cristo, il mistero della sua vita nella storia, nella Chiesa, in noi. E chiediamo alla Madonna, che ha contemplato da vicino tale mistero, soprattutto quella della povertà, dell’umiltà, della misericordia di Gesù, di aiutarci a entrare nel significato profondo delle parole evangeliche.

Carlo Maria Martini

giovedì 23 ottobre 2014

Ecco cosa chiamo amore!

«Chiamo amore quella esperienza intensa, indimenticabile e inconfondibile che si può fare soltanto nell'incontro con un'altra persona. Non c'è quindi amore come cosa astratta, come virtù senza oggetto. Non c'è amore solitario. L'amore suppone sempre un altro e si attua in un incontro concreto. Per questo l'amore ha bisogno di appuntamenti, di scambi, di gesti, di parole, di doni che, se sono parziali, sono tuttavia simbolo del dono pieno di una persona all'altra.
Amore è dunque incontrare un'altra persona scambiandosi dei doni, è esperienza in cui si dà qualcosa di sé e c'è più amore quanto più si dà qualcosa di sé. L'amore è un incontro in cui l'altro ci appare importante, in un certo senso più importante di me: cosi importante che, al limite, io vorrei che lui fosse anche con perdita di me.
Uno scopre di essere innamorato quando si accorge che l'altro gli è divenuto, in qualche modo, più importante di se stesso. Per questo l'amore realizza qualcosa che potremmo quasi chiamare un'estasi, un uscire da sé, dal proprio peccato, dal proprio tornaconto, dalla cura affannosa per la propria vita: una sorta di estasi in cui io mi sento tanto più vero e tanto più autentico, tanto più genuinamente "io" quanto più mi dono, mi spendo e non mi appartengo più in esclusiva.
Non c'è quindi nell'amore una perdita dell'io ma un farsi autentico dell'io nell'uscire da sé verso il tu. Risuona qui la parola evangelica: "Chi perde la sua vita, la troverà"».
Carlo Maria Martini, Aprite le porte a Cristo amore, 4-5

sabato 27 settembre 2014

Sulla morte. Pensieri di Carlo Maria Martini.

«Vi sono molti modi di rifiutare il Padre e il cammino verso di lui. Il più comune (e il più nascosto nell'inconscio) è di rifiutare la morte».

Le meditazioni del cardinale Carlo Maria Martini sul passo dell'uomo al di là del muro d'ombra, che separa questa da un'altra vita, sono molte. Frammenti dei suoi scritti scorrono in rete per rinverdire il tema più reietto della nostra civiltà, e addolciscono il volto dello spettro più temuto dalla creatura, rendendolo luminoso, questo volto che si mostra come un teschio da combattere in una lotta alla fine impari. Apparentemente.
«Vivere è convivere con l'idea che tutto prima o poi finirà. La morte è come una sentinella che fa da guardia al mistero. E' la roccia che ci impedisce d'affondare nella superficialità. E' un segnale che ci costringe a cercare una meta per cui valga la pena vivere». 
Le citazioni sono tratte dalla lettera pastorale «Ritornare al Padre» del 1998/1999, che prende avvio dalla parabola del vangelo di Luca, il figliol prodigo. La vita è un cammino nel solco della malinconia di un ritorno ad un corpo amorevole, quello da cui siamo stati concepiti, è la prova che ci porta ad abbandonarci non alla speranza terrena d'essere salvati da una macchina, ma d'essere accolti nell'abbraccio tenero di quel corpo di Padre-Madre. C'è un quadro di Rembrandt all'Ermitage di San Pietroburgo. Si racconta che abbia spinto a conversioni. Il figliol prodigo affonda il volto scheletrico nel ventre del Padre che lo abbraccia. La mano sinistra del Padre è di possente fattura maschile, la destra, di delicata forma femminile, emerge da un lembo del mantello con l'interno azzurro. E' questa la rappresentazione della morte? Rileggendo la Lettera Pastorale del cardinal Martini la risposta è «sì».
«Quando la prospettiva della morte ci spaventa e ci getta nella depressione, ecco che dal profondo del cuore riemerge un presentimento e la nostalgia di un Altro che possa accoglierci e farci sentire amati. La sua figura ha al tempo stesso tratti paterni e materni. E' pertanto evocazione dell'origine, del grembo, della patria, del focolare, del cuore a cui rimettere tutto ciò che siamo, del volto a cui guardare senza timore». Chiudere gli occhi nell'«eterno riposo» significa riaprirli nella limpidezza della Sorgente che ci ha generati, fatta anche delle lacrime della vita mortale che non vanno perdute.
«Ostentare ricchezza, potere, sicurezza, salute, attivismo sono espedienti per esorcizzare l'angoscia del tempo che ci sfugge dalle mani» diceva Martini in un altro contesto, rammentandoci come la visione quotidiana del bianco e del nero debba essere rovesciata. Ciò che vediamo bianco - salute, successo, denaro - in realtà è il riflesso del timore di ciò che crediamo nero - la morte - che invece è come per San Francesco «la sorella» che ci prende per mano per riportarci nell'amore da cui partimmo. «Sentiamo quasi una certa invidia e una profonda nostalgia per la libertà di spirito, la scioltezza spirituale e la gioia di Francesco d'Assisi di fronte alla morte» diceva Martini il 3 ottobre 1995, vigilia della festa del Santo Patrono d'Italia.
Invidia: pulsione che si rivolge ai detentori di beni materiali, mentre in questo caso è diretta verso chi ha raggiunto la bellezza di una libertà da tutto ciò che può significare mondo. «Il motivo del «ritorno» soggiace alla parola ebraica shuv che esprime il cambiamento del cuore e della vita» scrive ancora Martini. «E mi sono riappacificato con l'idea di morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremo mai a fare un atto di piena fiducia. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre un'uscita di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente. Di Dio».

giovedì 10 luglio 2014

Gli esercizi spirituali biblici secondo il card. Martini

Così il card. Martini ha riassunto la sua straordinaria esperienza pluriennale di predicatore:


"Gli esercizi spirituali biblici sono la grande esperienza che mi ha dato molto. In tantissime parti del mondo, non solo in diocesi, ho dato esercizi spirituali dove ogni volta, pur mantenendo la struttura di sant’Ignazio che mi è molto congeniale, prendevo come tema un libro o un personaggio della Bibbia: Davide, Abramo, Mosé, il Vangelo di Marco, Paolo, Pietro... Cercando per una settimana di penetrare insieme agli ascoltatori il testo relativo. E ho sempre voluto cambiare libro proprio per non ripetermi, perché è odiosissimo ripetersi – per me almeno – e l’idea era di essere stimolato ogni volta, anche se non avevo tempo, a studiare molto, a mettermi di fronte a un nuovo libro biblico e a cercare di penetrarlo non tanto in una lectio esegetica continua, ma cercando il dinamismo interno di conversione che il libro suscita. Anche questo è un tipo di ricerca interessante.

Si tratta di un’altra esperienza che ho fatto in tante parti del mondo perché ho cercato di dare almeno un corso nel mese di luglio, quando a Milano per il troppo caldo non c’è più nessuno; sono andato in Ciad, in Zaire, in Giappone, a Taiwan, in Messico, in Venezuela, negli Stati Uniti, ogni volta dando un corso di esercizi con un tema diverso. In questo mi ha aiutato molto vedere che, pur parlando a culture diversissime da Taiwan a Tokyo, a Guadalajara, a Caracas, in California, tuttavia la Scrittura parla ovunque; non mi sono mai sforzato di fare chissà quale salto culturale, mi sono detto: «Prendo la Scrittura». E la Scrittura è così umana, così profonda, tocca così profondamente le corde intime del cuore che viene ascoltata ovunque. È stata un’esperienza molto bella, arricchente; io stesso – come dice san Gregorio Magno – ho imparato molto spiegando così la Scrittura. Perché allora diventava nuova anche per me".

venerdì 21 febbraio 2014

BEATI I MITI

Beati i miti – Card. Carlo Maria Martini

Mi piace riportare l'opinione di un illustre esegeta, il padre 
Jac­ques Dupont, di cui condivido la conclusione: 
"La mitezza di cui parla la beatitudine non è altro che quell'
aspetto dell'umiltà che si manifesta nell'affabilità messa in
atto nei rapporti con il prossimo. Tale mitezza trova la sua
illustrazione e il suo perfet­to modello nella persona di Gesù,
mite e umile di cuore. In fondo, tale mitezza ci appare come una forma della carità, pa­ziente e delicatamente attenta nei riguardi altrui".
Comprendiamo allora perché Gesù promette ai miti il pos­sesso della terra. La rinuncia alla vendetta, infatti, la rinuncia al­la sopraffazione, alla prepotenza, fa trovare al cristiano, in ogni occasione, la via per aprire spazi alla misericordia della verità, alla costruzione di un nuovo volto della società.
Naturalmente, la mentalità evangelica della mitezza matura soltanto lentamen­te nel singolo cristiano e ancora più lentamente nell'esperienza dei popoli. Bisogna essere passati per molte prove, delusioni, amarezze, sconfitte, per capire che la violenza di ogni tipo, compresa quella morale e ideologica, è alla fine perdente.

Vi offro tre spunti di riflessione che vi permetteranno di co­gliere il messaggio permanente della parola di Gesù.

1. Con la beatitudine dei miti Gesù condanna chiaramente ogni forma di prepotenza. La prepotenza non paga. Quindi i prepotenti, che si ritengono felici in questo mondo, sono in realtà degli sventurati, perché il loro potere è logorato alla radi­ce
ed essi cadranno come un vaso di argilla che viene frantu­mato.

2. Il messaggio di Gesù promuove il coraggio della non vio­lenza. I Padri della Chiesa, che hanno commentato a lungo il brano evangelico delle beatitudini, vedono la mitezza proprio come la rinuncia alla violenza, alla vendetta, allo spirito
vendi­cativo.

3. È importante coltivare lo spirito di dolcezza, di mitezza, di ac­coglienza, di capacità di amicizia e di relazioni autentiche e vere.

(Card. Carlo Maria Martini)

Un incontro indimenticabile al Molina di Varese

Ci manca molto la sua umiltà', la sua parola e la sua comprensione! Per me e' stato un grande riferimento! Dopo la sua morte, come dice il mio amico Paolo De benedetti, Dio ha trovato una persona intelligente con cui dialogare e i risultati si stanno vedendo...Benedetto XVI ha fatto una scelta coraggiosa ed è' arrivato Francesco, che Martini aveva indicato già' nel Conclave precedente. Ora la chiesa può' recuperare i 200 anni di ritardo! Padre Martini noi ti preghiamo di non dimenticarci e di pregare per i poveri, gli sbandati, coloro che dicono di non credere in Dio, per i preti allontanati dalla Chiesa, per i separati, i divorziati, perché' anche di loro e' il Regno dei cieli
Carlo Maria ci manchi tanto, soprattutto qui nella Diocesi di Milano!

Maria, segno di benedizione



Nelle omelie e nelle preghiere del card. Martini non manca mai un accenno alla Madonna, chiedendo una sua intercessione.

Riporto una omelia, che è' un ottimo spunto di meditazione su Maria, segno di benedizione

Dalle “maledizioni” umane, alla  partecipazione della “benedizione” di Maria
In questa festa liturgica della Madonna ascoltiamo una pagina della Scrittura che è davvero impressionante.
Mi ha colpito perché in essa c’è, per la prima volta nella Bibbia, la parola della maledizione: Maledetto il serpente più di tutte le bestie selvatiche (Gn 3, 14).
La maledizione del serpente è simbolo della maledizione di tutte quelle cose che rovinano gli uomini.

Mi ha colpito perché penso
a quante altre volte la parola «maledizione» è stata, da allora, ripetuta,
a quante volte sono state lanciate nel mondo delle maledizioni gli uni contro gli altri,
a quante volte siamo giunti a maledire noi stessi e addirittura a maledire Dio.
A partire dal racconto che la Scrittura ci riporta,
il segno doloroso del peccato e della tristezza
è entrato nel mondo e, per così dire, ci perseguita.
Forse non arriviamo sempre a pronunciare quella parola
ma ci sono tante cose in noi, intorno a noi,
nella società che non vanno,
che noi non vogliamo e che suscitano in noi un moto di ribellione.
Ci ribelliamo contro noi stessi perché non siamo sempre ciò che vorremmo essere;
ci ribelliamo contro gli altri che riteniamo la causa di ciò che in noi non va;
ci ribelliamo anche contro Dio perché non sappiamo capire quanto Dio ci ama.

È, dunque, una parola terribile che si riproduce nella storia umana,
così come si riproduce il peccato.
È il peccato la vera causa di tutte le scontentezze, di tutte le tristezze,
di tutte le guerre, di tutte quelle cose che sono in realtà la maledizione dell’uomo.

Ed ecco che il Vangelo ci porta il ricordo delle parola contraria alla maledizione:
«Benedetta tu, benedetta tu tra le donne!» (Lc 1, 42).
Questa parola rivolta alla Madonna è simbolo del meglio di noi stessi.

Noi siamo chiamati non a maledire noi stessi e gli altri:
noi siamo chiamati in realtà a benedire Dio,
a benedire la vita, a benedire il futuro.
La Madonna è il simbolo di tutto questo,
è il simbolo di tutte quelle cose che noi vorremmo essere,
è il simbolo di quello che vorremmo che il mondo fosse,
che vorremmo che gli altri fossero, che vorremmo che fosse la società.

Pregando oggi la Madonna noi preghiamo, quindi,
col meglio di noi stessi, con tutto ciò che di bene c’è in noi.
Preghiamo perché questo bene si allarghi,
preghiamo perché ciò che in noi è magari soltanto uno spazio di luce
diventi più largo,
preghiamo perché ciò che in noi è uno spiraglio di serenità cresca.
Possiamo augurarci che la Madonna entri nella nostra vita con la sua benedizione
in modo da poter dire, in tutta verità:
benedetta sei, o Maria, tra tutte le donne!
Fammi partecipe della tua benedizione,
fa’ che anch’io senta quanto c’è in me
che può diventare parte della tua benedizione!
Carlo Maria Martini, Solennità dell’Immacolata Concezione


Beati i poveri in spirito



Beati i poveri in spirito
L’ascolto credente della Parola di Dio libera e unifica. Esso unisce tra loro quelli che ascoltano la stessa Parola, producendo esperienza di autentica comunicazione.
Dio richiede dall’uomo innanzitutto l’ascolto, l’accoglienza fiduciosa della sua Parola: la fede. È la prima risposta che l’uomo dà con tutto se stesso a Dio che parla, ricevendolo e accogliendolo come principio e norma per la sua esistenza.
Ci soffermeremo sul discorso della montagna. In particolare sulla prima beatitudine.
S. Matteo inizia il grande discorso della montagna (Mt.5-7) così:
Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la Parola, li ammaestrava dicendo: Beati... ( Mt. 5, 1-2)
Questo brano delle “Beatitudini” lo abbiamo ascoltato molte volte, ma è conosciuto anche dai non cristiani, ad esempio, Gandhi lo citava spesso.
Le Beatitudini sono la proclamazione del modo di essere uomini evangelici, discepoli autentici di Gesù, uomini e donne fortunate e felici..
Diceva Ignazio Silone: "Se il cristianesimo viene spogliato delle sue cosiddette assurdità per renderlo gradito al mondo, e adatto all’esercizio del potere, cosa ne rimane? Voi sapete che la ragionevolezza, il buon senso, le virtù naturali esistevano già prima di Cristo e che si trovano anche ora presso molti non cristiani. Che cosa ci ha portato Cristo in più?
Appunto apparenti assurdità.  Ci ha detto: amate la povertà, amate gli umiliati e gli offesi, amate i vostri nemici, non preoccupatevi del potere, della carriera, degli onori, delle cose effimere, indegne di anime immortali."

Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Vangelo di Matteo 5,3)

Lectio:
1. Beati i poveri in spirito
Il termine  “poveri”  usato in questa pagina del Vangelo indica coloro che non hanno nulla: i mendicanti, gli indigenti, i poveri nel senso materiale, coloro che chiedono l’elemosina, che fanno accattonaggio ...
Ma nel testo di Matteo la parola “poveri” è accompagnata da una qualificazione importante: “in spirito”.
Questa parola è stata tradotta in diversi modi nella varie traduzioni della Bibbia:  “Beati i poveri di cuore”, o “Beati coloro hanno un’anima da poveri” o ancora “”Beati coloro che scelgono di essere poveri”, o “ Beati quelli che sono poveri di fronte a Dio” ..
Tutte queste sfumature dicono che per capire bene il pensiero di Gesù, è necessario andare oltre il significato immediato dell’accattonaggio.
Gesù, in realtà, riprende la parola “povero” non nel senso fisico di indigenza bensì nei suoi valori interiori che troviamo già nell’Antico Testamento.
Dice il profeta Sofonia 82,3): Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra,  che eseguite i suoi ordini; cercate la giustizia, cercate l’umiltà.
“Voi tutti poveri della terra” viene anche tradotto: voi tutti umili della terra.
I poveri e gli umili, per il profeta Sofonia,  sono coloro che hanno imparato a vivere sottomessi alla volontà di Dio, fiduciosi nella sua provvidenza, sapendo che Dio non li ha dimenticati.
Allora, per Matteo, “i poveri” sono coloro che non fanno affidamento sulle proprie forze, ma si affidano a Dio, perché certi di Lui, della sua bontà,  della sua potenza, della sua misericordia.
I poveri sono coloro che hanno messo in Dio ogni speranza.
2. Perché di essi è il Regno dei cieli.
I poveri in spirito avendo posto in Dio ogni speranza, sono disponibili alla buona notizia di Gesù, sono disponibili al suo Vangelo.
Chi possiede molto, chi è sicuro di sé, barricato nei suoi privilegi e in tutto ciò che ha e che è, teme sempre di essere disturbato, di vedere vacillare il trono che si è conquistato. Si chiude come un riccio, di fronte alla proposta nuova e coraggiosa del Vangelo di Gesù.
Chi invece ha imparato a non contare su se stesso, chi ha imparato a conoscere la fragilità umana e quella di tutte le realtà cui cerchiamo di aggrapparci, è aperto alla novità del Regno.
Il Regno è già suo in qualche modo, perché è disposto a riceverlo volentieri e con gioia, perché accoglie la Parola di Gesù come parola che rassicura, conforta, dona serenità e speranza.

Meditatio:

che cosa dice a noi questa parola? Il messaggio di questa prima beatitudine?
Per cogliere meglio il messaggio di questa prima Beatitudine possiamo ricordare altre parole che nel Vangelo, pur con termini diversi, designano coloro che sono “poveri in spirito”.
Infatti le grandi parole bibliche non sono mai definibili geometricamente o matematicamente, perché si riferiscono alle profondità del cuore, a tutta la ricchezza interiore che pervade il discorso biblico.
Ne possiamo ricordare tre.
1) Se non vi convertirete e non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli  (Mt. 18,2)
I bambini si fidano, sono semplici, si abbandonano in tutto ai genitori, si lasciano fare.    Così deve essere il nostro atteggiamento di fronte a Dio, per entrare nel Regno, per accoglierlo.
2) Ti ringrazio,Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli  (Mt. 11,25)
I piccoli sono i lattanti, gli infanti, cioè quelli che non sanno parlare.
Vuol dire che le cose di Dio non vengono rivelate a coloro che credono di sapere molto, di essere ricchi di cultura e di dottrina, di non aver bisogno di imparare alcunché da nessuno, ma, invece, sono rivelate a quelli che sanno di sapere poco e di dover imparare molto.
3)  Il Signore ha guardato all’umiltà della sua serva   ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili. (Lc. 1, 48. 52)
Coloro che pretendono di primeggiare, di spingere, di farsi largo schiacciando gli altri, non sono graditi a Dio.
Al contrario lo sono quelli che accettano umilmente la loro condizione, fidandosi di Dio, mettendosi nelle sue mani, sapendo che lui solo è immensamente più grande di qualsiasi persona.
Ecco allora il messaggio per noi: l’atteggiamento che il Signore ci chiede è l’atteggiamento che spalanca il nostro cuore al mistero di Dio, che ci rende semplici, non superbi, che ci fa capaci di affidamento, di abbandono, di attesa di Dio.
Per comprenderlo meglio dobbiamo guardare Maria nel momento dell’Annunciazione, dobbiamo pensare a Gesù mite e umile di cuore.
Allora impareremo  l’importanza di opporsi alla pretesa di sapere già tutto di Dio, di sé, degli altri.
Soltanto quando il cuore è umile, quando il cuore è consapevole di dover aspettare tutto da Dio, Dio viene incontro all’uomo.
L’atteggiamento che viene condannato dalle Beatitudini e da tutto il messaggio evangelico è quello di chi è sazio, appagato, contento solo di avere sempre più denaro, più potere, più divertimenti, più comodità, senza accorgersi di essere interiormente arido, nudo, privo di sentimenti profondi, privo di umanità, di fede, di speranza.

Contemplatio:
Contempliamo Gesù sulla croce, contempliamo il Figlio di Dio che si è fatto povero per noi, che si è dato in balia degli uomini, che si è consegnato a noi.

Actio

Che cosa diciamo noi al Signore?
1) Il povero di spirito è una figura di uomo affascinante: è l’uomo che ha capito che deve tutto a Dio; non si atteggia a padrone del mondo o degli altri, ma sa di dipendere da Dio ed è contento ...
2) Il povero di spirito è povero, ha bisogno degli altri, ma ha una sicurezza: Dio lo ama e ha stima di lui. Il povero di spirito, allora, è colui che chiede, domanda, ringrazia, nella consapevolezza che ciò che incontra è un dono; e se è messo da parte, sa che Dio non lo mette da parte mai.
l povero di spirito è sicuro che Dio è la radice della sua dignità che nessuno gli può togliere.
3) Il povero di spirito chiede , fa presente il suo bisogno con discrezione, non è petulante, non ha vergogna di essere aiutato e sa che le cose che riceve sono un dono. Se si sente amato da qualcuno, si meraviglia e riconosce che l’amore vero è gratuito. Chi pensa di avere diritto a tutto e di meritare tutto, non gusta mai la bellezza del dono e dell’amore.
4)  Il povero di spirito non è un violento, i violenti sono coloro che vogliono emergere.
5) Il povero di spirito dice sempre “grazie” a Dio, alle persone, quasi stupito che simili doni possono capitare proprio a lui.
Qualche domanda:
E’ nostro compito diventare persone così, come Gesù
* Persone contente di dipendere da Dio, di affidarsi a Dio sempre
* Persone che spalancano il proprio cuore, che si rendono disponibili  al mistero di Dio
* Persone che sanno dire sempre grazie a Dio

Preghiera.
Preghiamo facendoci poveri, mendicanti della grazia di Dio, del suo perdono, del suo Regno, della sua misericordia:
Grazie Signore, perché ci hai fatto partecipare un poco alla beatitudine dei poveri in spirito e quindi alla promessa del tuo Regno.
Carlo Maria Martini