tag:blogger.com,1999:blog-79311580025227489122024-03-13T00:41:31.743+01:00CMM Carlo Maria MartiniPro veritate adversa diligeredonambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.comBlogger73125tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-79504172920414201552016-10-31T15:00:00.000+01:002016-10-31T15:00:05.656+01:00I santi sono uomini felici!Ciò che stupisce nel brano di Matteo (Mt 5, 3-11) è che la proclamazione della felicità non riguarda, in parecchi casi di queste beatitudini, opzioni fondamentali (come potrebbero essere «non uccidere», «non rubare», «onora il padre e la madre»); riguarda piuttosto situazioni ed atteggiamenti che comunemente non sono considerati di felicità e di benessere.<br />
Anzi, le beatitudini che ci colpiscono di più non sono quelle che, in certo senso, sono ovvie: beati gli operatori di pace, beati i puri di cuore, ma sono invece quelle che si esprimono con un bruciante contrasto: beati i poveri, beati gli afflitti, beati gli affamati.<br />
Dietro alle beatitudini, perciò, si nasconde un misterioso capovolgimento antropologico che consiste nel passare dall’avere all’essere, anzi dall’essere al dare, dall’avere per sé all’essere per gli altri. Cogliendo la dinamica di questo guado fondamentale per l’uomo, noi raggiungiamo il segreto di Dio che è insieme il vero segreto dell’uomo: donarsi, essere per un altro.<br />
I Santi sono uomini felici, sono uomini che hanno trovato il loro vero centro, uomini che hanno operato la conversione dall’avere all’essere e dall’essere al dare: per questo sono stati e sono felici. Celebrando la loro festa siamo invitati a partecipare, nella fede, alla loro esperienza di letizia e di gioia.<br />
Un autore contemporaneo dice che la prima qualità che si segnala nella vita dei santi è una forma di grande e ilare felicità, di sereno e totale abbandono, di serena e totale fiducia nel disegno che la vita, scendendo dalle mani di Dio, compone sui sentieri e sulle strade dell’uomo.<br />
La santità, quest’unica forma possibile al mondo di vincere la tristezza, ci viene presentata non come sogno irraggiungibile ma come la méta realistica a cui ogni uomo è chiamato per mezzo del Battesimo. La santità è la nostra chiamata, è una chiamata che riguarda ciascuno di noi, come ha affermato il Concilio Vaticano II: «uno è il popolo eletto di Dio, comune è la dignità dei membri, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione», cioè la chiamata di tutti noi alla santità.<br />
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Cardinale Carlo Maria martinidonambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-18789556460120320672015-11-02T07:03:00.000+01:002015-11-02T07:03:00.142+01:00Il ricordo dei nostri cari defunti- Cit. Carlo Maria Martini“<i>In faccia alla morte l’enigma della condizione umana diventa sommo</i>».<br />
Con queste parole gravi il Concilio Vaticano II descrive l’ansietà e la povertà dell’uomo di fronte al mistero della morte. E noi siamo chiamati ad avvicinarci a questo mistero, e ad avvicinarci ad esso non come ad una realtà astratta, ma come a qualcosa che ha creato strappi dolorosi nella nostra carne, nella vita di ciascuno di noi. Ricordiamo infatti i nostri defunti, i nostri cari che ci hanno lasciato. Per ciascuno di noi sono nomi, persone, volti, parole care che ritornano alla mente, che riempiono la memoria dei giorni passati insieme, dei luoghi animati da presenze care e amate.<br />
Anche i grandi Santi hanno vissuto lo strazio di queste separazioni.
Agostino ha descritto con parole ancora vive la sofferenza da lui provata alla morte della madre. Ci dice: «Mentre le chiudevo gli occhi, una tristezza immensa si addensava nel mio cuore e si trasformava in un fiotto di lacrime. Ma cos’era dunque – si domanda – che mi doleva dentro gravemente se non la recente ferita derivata dalla lacerazione improvvisa della nostra così dolce e cara consuetudine di vita comune?».<br />
Se dunque per i Santi le separazioni dolorose possono essere così penetranti, tali da spezzare il cuore, che cosa non sarà per ciascuno di noi e come non provare pena nel rivivere questi momenti di dolore e di separazione?<br />
Ma i grandi Santi ci mostrano anche la via aperta all’uomo nel mistero della morte. È la via della Pasqua di Cristo che con la sua morte ha distrutto la nostra morte,con la sua risurrezione ha fatto a noi dono della vita.<br />
E noi ricordiamo i nostri defunti non soltanto nella mestizia della separazione, ma li ricordiamo rivivendo il passaggio di Cristo nella morte, e attraverso la morte, alla vita, perché in questo stesso Cristo i nostri defunti vivono e vivranno.
I nostri morti sono con noi e vivono con noi e li possiamo sentire uniti alla nostra preghiera. Essi ci parlano nella parola di Gesù, essi sono presenti con noi nella consolazione che il Signore ci dà.<br />
<br />
Da "Sulle strade del Signore" Carlo Maria Martini, meditazioni per tutti i giorni 2 novembredonambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-3528825242380765522015-03-25T07:07:00.000+01:002015-03-25T07:07:00.235+01:00Preghiera del Cardinal Martini alla "Vergine dell'Annunciazione"<b>Vergine dell'Annunciazione,</b> <br />
rendici, ti preghiamo, beati nella speranza,<br />
insegnaci la vigilanza del cuore,<br />
donaci l'amore premuroso della sposa,<br />
la perseveranza dell'attesa,<br />
la fortezza della croce.<br />
Dilata il nostro spirito<br />
perché nella trepidazione<br />
dell'incontro definitivo<br />
troviamo il coraggio di rinunciare<br />
ai nostri piccoli orizzonti<br />
per anticipare, in noi e negli altri,<br />
la tenera e intima familiarità di Dio.<br />
Ottienici, Madre, la gioia di gridare<br />
con tutta la nostra vita:<br />
"Vieni, Signore Gesù, vieni, Signore<br />
che sei risorto,<br />
vieni nel tuo giorno senza tramonto<br />
per mostrarci finalmente e per sempre il tuo volto".<br />
<br />
<i>Carlo Maria Martini</i>donambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-49384450033428177872014-11-20T19:04:00.004+01:002014-11-20T19:04:39.883+01:00Per entrare in preghiera contemplativa di fronte alle beatitudini, il regno e la giustizia<b>Le Beatitudini</b><br />
Incominciamo a riflettere sull’insieme del brano delle Beatitudini, conosciuto anche dai non cristiani; sappiamo, ad esempio, che Gandhi lo citava spesso, e così pure altri personaggi del mondo non cristiano.<br />
Quante solo le Beatitudini secondo Matteo?<br />
Talora si risponde che sono otto, ma se le contiamo attentamente ci accorgiamo che in realtà sono nove:<br />
<a name='more'></a><br />
"<i>Beati i poveri in spirito,</i><br />
<i>perché di essi è il regno dei cieli.</i><br />
<i>4Beati quelli che sono nel pianto,</i><br />
<i>perché saranno consolati.</i><br />
<i>5Beati i miti,</i><br />
<i>perché avranno in eredità la terra.</i><br />
<i>6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,</i><br />
<i>perché saranno saziati.</i><br />
<i>7Beati i misericordiosi,</i><br />
<i>perché troveranno misericordia.</i><br />
<i>8Beati i puri di cuore,</i><br />
<i>perché vedranno Dio.</i><br />
<i>9Beati gli operatori di pace,</i><br />
<i>perché saranno chiamati figli di Dio.</i><br />
<i>10Beati i perseguitati per la giustizia,</i><br />
<i>perché di essi è il regno dei cieli.</i><br />
<i>11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di vo</i>i.<br />
<br />
Le prime otto Beatitudini hanno una forma letteraria omogenea, sono tutte alla terza persona plurale: beati coloro che sono poveri, afflitti, miti, misericordiosi, eccetera. La felicità è attribuita a chi ha o vive un determinato atteggiamento. La nona, invece, costituisce un appellativo diretto, alla seconda persona plurale: beati voi e ricorda la forma letteraria delle quattro Beatitudini secondo Luca.<br />
L’omogeneità tra le prime otto, inoltre, è sottolineata dal fatto che la prima – povertà di spirito – e l’ottava – perseguitati per causa della giustizia – terminano con la menzione del regno dei cieli. Quasi a dire che il regno dei cieli fa da cornice agli otto versetti.<br />
E ancora, le otto Beatitudini possono essere divise in due gruppi di quattro, perché ciascun gruppo termina con un’altra parola chiave, la giustizia.<br />
Possiamo allora cercare di comprendere il significato dei termini più evidenziati – beati, regno dei cieli, giustizia- per meglio gustare le singole Beatitudini.<br />
<br />
<b>Regno dei cieli</b><br />
Con l’evocazione misteriosa dei cieli si intende Dio, Colui che abita i cieli: regno dei cieli equivale a regno di Dio.<br />
Ma che cos’è questo Regno la cui venuta continuiamo a invocare nella recita del Padre nostro?<br />
Dobbiamo subito sbarazzarci di un equivoco. Parlando di regno pensiamo di solito a un luogo, a un territorio dove qualcuno regna. Tuttavia il termine greco vuol dire invece l’azione del regnare; il regno è la regalità, il regnare di Dio.<br />
Regno significa un intervento potente di Dio che viene incontro all’uomo, che viene a regnare sull’umanità, che viene incontro ai problemi e alle sofferenze umane.<br />
Ciò che dovremmo cogliere, molto spesso lo dimentichiamo, è che Dio viene con il suo regnare incontro a noi in maniera sovrabbondante, superando tutte le nostre speranze e le nostre attese. Non c’è linguaggio umano che riesca a descrivere adeguatamente la straordinaria grandezza e forza di questo regnare di Dio.<br />
Il tuo Regno, o Signore, il tuo regnare su di noi è sempre al di là di tutto ciò che noi possiamo balbettare con parole e con concetti tratti necessariamente dalla nostra povera e limitata esperienza umana. Il tuo Regno è la tua paternità, che entra in azione; sei Tu che ridiventi Signore e padre nei confronti di noi che siamo schiavi di tante realtà negative, del peccato, del demonio, delle passioni, dell’ignoranza, della malattia, della morte. Il Regno sei tu, o Padre, che ci ami come figli, che ci vuoi tuoi figli, liberi e degni; sei tu, Padre, che ci trasferisci da una situazione di dolore e di peccato, di malattia, di incapacità di amare, alla capacità di amare davvero, di amare come ama Gesù; sei tu che ci trasferisci a una pienezza di vita che non avrà mai fine.<br />
È dunque facile e insieme difficile rispondere alla domanda: che cos’è il Regno?<br />
Perché il Regno è vasto quanto è vasta l’azione di Dio su di noi, quanto grande il suo amore per noi, quanto infinita è la potenza di Dio che si esprime nella storia, al di là della storia, nella eternità. Il Regno è tutto ciò che tu, o mio Dio, hai voluto fare, fai e farai per noi, per me. Il Regno è quindi oltre ogni schema, ogni previsione, ogni possibilità umana. È potenza assoluta di Dio.<br />
È vero che il Regno viene incontro ai nostri bisogni, ai nostri desideri – desideri di compagnia, di amicizia, di verità, di amore, di salute, di vita -, ma non li interpreta in maniera superficiale, come noi li esprimiamo magari nella preghiera (Signore fammi guarire, fammi stare bene). Dio accoglie tutto questo nel suo Regno e però ci dona molto di più.<br />
Nessuna forza o attesa umana può delimitare, restringere, circoscrivere, catturare questa azione salvatrice di Dio, che supera ogni attesa e tuttavia, con amore paterno, previene e colma tutte le cose.<br />
Perciò domandando che venga il tuo Regno, noi chiediamo qualcosa che è al di là di ciò che possiamo immaginare, anche se tutti i nostri desideri di bene e di gioia vi sono inclusi. È potentissima l’invocazione del Regno, ed è una promessa straordinaria la parola di Gesù che dice: <i><b>di essi è il regno dei cieli</b></i>.<br />
Signore, donaci dunque di comprendere che è nostro il regno dei cieli.<br />
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<b>Giustizia</b><br />
Il regnare di Dio si può descrivere come un’azione che rimette ogni cosa al posto giusto, come la volontà santa e perfetta di Dio che tiene conto di ogni realtà, rende giustizia a ciascuno e anzi raggiunge la perfetta realizzazione di ogni aspirazione e desiderio, colma ogni attesa e misura umana.<br />
La colma in modo vero, autentico e, in questo senso, l’attività di Dio che instaura il Regno si può chiamare, con termine biblico, giustizia, perché rimette tutto in perfetto ordine, nella perfetta misura. Non naturalmente la misura meschina delle bilance umane, bensì quella sovrabbondante, misericordiosa e salvatrice della bontà divina.<br />
Per questo, accanto alla parole Regno troviamo nelle Beatitudini la parola giustizia, di cui ora abbiamo fame e sete. Noi infatti desideriamo che ogni cosa giunga a perfetto compimento, che la volontà di Dio si compia in tutto e in tutti.<br />
Coloro che hanno fame e sete della giustizia pregano con intensità venga il tuo Regno, amano Dio a tal punto da soffrire persecuzione, da non spaventarsi davanti ad alcun ostacolo purché si realizzi la santa, perfetta, giusta volontà del Signore.<br />
<br />
<b>Beati</b><br />
Noi consideriamo beati coloro che la Chiesa proclama tali. Il termine beati, però, non è inteso in questo senso dalla pagina evangelica. Sarebbe meglio tradurlo felici per comprendere pienamente il pensiero di Gesù.<br />
In altri passi del vangelo e in molti brani della Bibbia ricorre questa espressione. Elisabetta, per esempio, accoglie Maria dicendole: Beata tu tra le donne … e benedetta colei che ha creduto (Lc 1,41-45). Gesù, alla donna che lo loda proclamando beata la donna che lo ha portato in seno e lo ha allattato, risponde: Beati coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica (Lc 11,27-28). A Simone, Gesù rivolge la bellissima lode Beato te Simone … (Mt 16,17).<br />
Beati, felici, fortunati indica, già nell’AT, il valore etico o religioso di una determinata situazione o di un determinato atteggiamento.<br />
Nel nostro brano, Gesù vuole sottolineare il valore di alcune situazioni umane: la povertà di spirito, l’afflizione, la mitezza, la misericordia, la purezza di cuore, la fame e la sete della giustizia.<br />
Potremmo dire che la parola beati costituisce un’antropologia, una descrizione di che cosa è davvero l’uomo felice, vero, autentico.<br />
Le Beatitudini sono dunque la proclamazione del modo di essere uomini evangelici, discepoli autentici di Gesù, uomini e donne fortunate e felici.<br />
<br />
<b>Verso la preghiera contemplativa</b><br />
Il nostro cuore è ormai pieno di desiderio di comprendere meglio le Beatitudini e vi offro allora qualche suggerimento per la preghiera che potrete fare davanti a Gesù Eucaristia, nel silenzio dell’adorazione:<br />
Tu, Gesù, sei re; tu ci porti il Regno e noi ti ringraziamo perché regni su di noi e vogliamo che il tuo Regno venga.<br />
Tu, Gesù, sei nostra giustizia; metti a posto le realtà della mia vita, della mia famiglia, del mio luogo di lavoro, della mia parrocchia. Tu sei nostra giustizia.<br />
Tu, Gesù, sei la nostra beatitudine, la nostra somma felicita, la felicita della mia vita e del mio cuore.<br />
Dopo aver contemplato cosi Gesù nostro re, nostra giustizia e nostra felicità, riflettiamo brevemente su di noi:<br />
‘Signore, regni davvero su di me? la mia vita è a posto? sono giuste le mie azioni? e io sono felice?’.<br />
Ritengo molto importante quest’ultima domanda: sono felice? sono contento, davanti al Signore, della mia vita?<br />
Se rispondo affermativamente, perché sono felice?<br />
E se rispondo negativamente, perché non sono felice?<br />
Forse, in presenza di Gesù eucaristico, scopriremo che certe realtà da noi considerate somma sfortuna sono, invece, fattori di felicità.<br />
Questo, infatti, è il mistero delle Beatitudini.<br />
‘Donaci, Signore, di comprenderle a fondo, fa’ che penetriamo nel tuo cuore, che contempliamo te che le hai proclamate. Noi vogliamo che le Beatitudini ci penetrino, ci salvino, ci diano la pienezza della tua grazia e del tuo dono. Te lo chiediamo, Gesù, per intercessione di Maria tua e nostra madre.donambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-48989094633578999362014-11-20T18:59:00.001+01:002014-11-20T18:59:35.439+01:00Introduzione agli esercizi spirituali sulle beatitudini“Vieni, o santo Spirito, riempi i nostri cuori, nessuna parola sia al di fuori del clima di preghiera nel quale vogliamo vivere questi incontri. Fa che nell’interiorità e nel silenzio, ci possiamo ritirare là dove il mistero di Dio raggiunge il cuore dell’uomo e cambia veramente il mondo. Maria, madre di Gesù, intercedi perché la nostra preghiera sia intensa, autentica, tale da penetrare e purificare la nostra vita”.<br />
<br />
Desideriamo compiere insieme l’esercizio della lectio divina sulla pagina del vangelo di Matteo che inizia il grande discorso della montagna Mt 5,1ss. Il tema è dunque quello delle Beatitudini, e vorrei ricordare che facendo la lettura pregata della parola di Dio siamo convinti di obbedire al Vaticano II che, nella Costituzione dogmatica Dei Verbum afferma: <i>Il Santo Sinodo esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli … ad apprendere la sublime scienza di Gesù Cristo, con la frequente lettura delle divine Scritture</i> (DV 25).<br />
Lo scopo che ci proponiamo, perciò, è di apprendere la sublime scienza di Gesù, di riconoscere il cuore di Cristo, il mistero della sua vita nella storia, nella Chiesa, in noi. E chiediamo alla Madonna, che ha contemplato da vicino tale mistero, soprattutto quella della povertà, dell’umiltà, della misericordia di Gesù, di aiutarci a entrare nel significato profondo delle parole evangeliche.
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Carlo Maria Martinidonambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-43117436715307997332014-10-23T07:39:00.001+02:002014-10-23T07:39:31.031+02:00Ecco cosa chiamo amore!<span style="-webkit-text-size-adjust: auto; background-color: rgba(255, 255, 255, 0);">«Chiamo amore quella esperienza intensa, indimenticabile e inconfondibile che si può fare soltanto nell'incontro con un'altra persona. Non c'è quindi amore come cosa astratta, come virtù senza oggetto. Non c'è amore solitario. L'amore suppone sempre un altro e si attua in un incontro concreto. Per questo l'amore ha bisogno di appuntamenti, di scambi, di gesti, di parole, di doni che, se sono parziali, sono tuttavia simbolo del dono pieno di una persona all'altra.<br>Amore è dunq<span class="text_exposed_show" style="display: inline;">ue incontrare un'altra persona scambiandosi dei doni, è esperienza in cui si dà qualcosa di sé e c'è più amore quanto più si dà qualcosa di sé. L'amore è un incontro in cui l'altro ci appare importante, in un certo senso più importante di me: cosi importante che, al limite, io vorrei che lui fosse anche con perdita di me.<br>Uno scopre di essere innamorato quando si accorge che l'altro gli è divenuto, in qualche modo, più importante di se stesso. Per questo l'amore realizza qualcosa che potremmo quasi chiamare un'estasi, un uscire da sé, dal proprio peccato, dal proprio tornaconto, dalla cura affannosa per la propria vita: una sorta di estasi in cui io mi sento tanto più vero e tanto più autentico, tanto più genuinamente "io" quanto più mi dono, mi spendo e non mi appartengo più in esclusiva.<br>Non c'è quindi nell'amore una perdita dell'io ma un farsi autentico dell'io nell'uscire da sé verso il tu. Risuona qui la parola evangelica: "Chi perde la sua vita, la troverà"».<br>Carlo Maria Martini, Aprite le porte a Cristo amore, 4-5</span></span>donambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-9858546965075951772014-09-27T07:07:00.001+02:002014-09-27T07:07:38.172+02:00Sulla morte. Pensieri di Carlo Maria Martini.<p style="margin: 6px 0px;"><span style="-webkit-text-size-adjust: auto; background-color: rgba(255, 255, 255, 0);">«<i>Vi sono molti modi di rifiutare il Padre e il cammino verso di lui. Il più comune (e il più nascosto nell'inconscio) è di rifiutare la morte</i>».</span></p><p style="margin: 6px 0px 0px; display: inline; -webkit-text-size-adjust: auto; background-color: rgba(255, 255, 255, 0);">Le meditazioni del cardinale Carlo Maria Martini sul passo dell'uomo al di là del muro d'ombra, che separa questa da un'altra vita, sono molte. Frammenti dei suoi scritti scorrono in rete per rinverdire il tema più reietto della nostra civiltà, e addolciscono il volto dello spettro più temuto dalla creatura, rendendolo luminoso, questo volto che si mostra come un teschio da combattere in una lotta alla fine impari. Apparentemente.<br>«Vivere è convivere con l'idea che tutto prima o poi finirà. La morte è come una sentinella che fa da guardia al mistero. E' la roccia che ci impedisce d'affondare nella superficialità. E' un segnale che ci costringe a cercare una meta per cui valga la pena vivere». <br>Le citazioni sono tratte dalla lettera pastorale «Ritornare al Padre» del 1998/1999, che prende avvio dalla parabola del vangelo di Luca, il figliol prodigo. La vita è un cammino nel solco della malinconia di un ritorno ad un corpo amorevole, quello da cui siamo stati concepiti, è la prova che ci porta ad abbandonarci non alla speranza terrena d'essere salvati da una macchina, ma d'essere accolti nell'abbraccio tenero di quel corpo di Padre-Madre. C'è un quadro di Rembrandt all'Ermitage di San Pietroburgo. Si racconta che abbia spinto a conversioni. Il figliol prodigo affonda il volto scheletrico nel ventre del Padre che lo abbraccia. La mano sinistra del Padre è di possente fattura maschile, la destra, di delicata forma femminile, emerge da un lembo del mantello con l'interno azzurro. E' questa la rappresentazione della morte? Rileggendo la Lettera Pastorale del cardinal Martini la risposta è «sì».<br>«Quando la prospettiva della morte ci spaventa e ci getta nella depressione, ecco che dal profondo del cuore riemerge un presentimento e la nostalgia di un Altro che possa accoglierci e farci sentire amati. La sua figura ha al tempo stesso tratti paterni e materni. E' pertanto evocazione dell'origine, del grembo, della patria, del focolare, del cuore a cui rimettere tutto ciò che siamo, del volto a cui guardare senza timore». Chiudere gli occhi nell'«eterno riposo» significa riaprirli nella limpidezza della Sorgente che ci ha generati, fatta anche delle lacrime della vita mortale che non vanno perdute.<br>«Ostentare ricchezza, potere, sicurezza, salute, attivismo sono espedienti per esorcizzare l'angoscia del tempo che ci sfugge dalle mani» diceva Martini in un altro contesto, rammentandoci come la visione quotidiana del bianco e del nero debba essere rovesciata. Ciò che vediamo bianco - salute, successo, denaro - in realtà è il riflesso del timore di ciò che crediamo nero - la morte - che invece è come per San Francesco «la sorella» che ci prende per mano per riportarci nell'amore da cui partimmo. «Sentiamo quasi una certa invidia e una profonda nostalgia per la libertà di spirito, la scioltezza spirituale e la gioia di Francesco d'Assisi di fronte alla morte» diceva Martini il 3 ottobre 1995, vigilia della festa del Santo Patrono d'Italia.<br>Invidia: pulsione che si rivolge ai detentori di beni materiali, mentre in questo caso è diretta verso chi ha raggiunto la bellezza di una libertà da tutto ciò che può significare mondo. «Il motivo del «ritorno» soggiace alla parola ebraica shuv che esprime il cambiamento del cuore e della vita» scrive ancora Martini. «E mi sono riappacificato con l'idea di morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremo mai a fare un atto di piena fiducia. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre un'uscita di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente. Di Dio».</p>donambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-39270509193104537272014-07-10T22:04:00.001+02:002014-07-10T22:04:57.926+02:00Gli esercizi spirituali biblici secondo il card. Martini<p style="margin: 0px 0px 6px;"><span style="background-color: rgba(255, 255, 255, 0); -webkit-text-size-adjust: auto; font-family: 'Helvetica Neue Light', HelveticaNeue-Light, helvetica, arial, sans-serif;">Così il card. Martini ha riassunto la sua straordinaria esperienza pluriennale di predicatore:</span></p><p style="margin: 0px 0px 6px;"><span style="background-color: rgba(255, 255, 255, 0); -webkit-text-size-adjust: auto; font-family: 'Helvetica Neue Light', HelveticaNeue-Light, helvetica, arial, sans-serif;"><br></span></p><p style="margin: 0px 0px 6px;"><span style="background-color: rgba(255, 255, 255, 0); -webkit-text-size-adjust: auto; font-family: 'Helvetica Neue Light', HelveticaNeue-Light, helvetica, arial, sans-serif;">"Gli esercizi spirituali biblici sono la grande esperienza che mi ha dato molto. In tantissime parti del mondo, non solo in diocesi, ho dato esercizi spirituali dove ogni volta, pur mantenendo la struttura di sant’Ignazio che mi è molto congeniale, prendevo come tema un libro o un personaggio della Bibbia: Davide, Abramo, Mosé, il Vangelo di Marco, Paolo, Pietro... Cercando per una settimana di penetrare insieme agli ascoltat</span><span class="text_exposed_show" style="-webkit-text-size-adjust: auto; font-family: 'Helvetica Neue Light', HelveticaNeue-Light, helvetica, arial, sans-serif; display: inline;">ori il testo relativo. E ho sempre voluto cambiare libro proprio per non ripetermi, perché è odiosissimo ripetersi – per me almeno – e l’idea era di essere stimolato ogni volta, anche se non avevo tempo, a studiare molto, a mettermi di fronte a un nuovo libro biblico e a cercare di penetrarlo non tanto in una lectio esegetica continua, ma cercando il dinamismo interno di conversione che il libro suscita. Anche questo è un tipo di ricerca interessante.</span></p><p style="margin: 6px 0px;"><span style="-webkit-text-size-adjust: auto; background-color: rgba(255, 255, 255, 0);"><span class="text_exposed_show" style="display: inline;">Si tratta di un’altra esperienza che ho fatto in tante parti del mondo perché ho cercato di dare almeno un corso nel mese di luglio, quando a Milano per il troppo caldo non c’è più nessuno; sono andato in Ciad, in Zaire, in Giappone, a Taiwan, in Messico, in Venezuela, negli Stati Uniti, ogni volta dando un corso di esercizi con un tema diverso. In questo mi ha aiutato molto vedere che, pur parlando a culture diversissime da Taiwan a Tokyo, a Guadalajara, a Caracas, in California, tuttavia la Scrittura parla ovunque; non mi sono mai sforzato di fare chissà quale salto culturale, mi sono detto: «Prendo la Scrittura». E la Scrittura è così umana, così profonda, tocca così profondamente le corde intime del cuore che viene ascoltata ovunque. È stata un’esperienza molto bella, arricchente; io stesso – come dice san Gregorio Magno – ho imparato molto spiegando così la Scrittura. Perché allora diventava nuova anche per me".</span></span></p>donambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-73224198022563591842014-02-21T22:55:00.001+01:002014-02-21T22:55:45.083+01:00BEATI I MITI<span style="background-color: white; color: #333333; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 17px;">Beati i miti – Card. Carlo Maria Martini</span><br style="background-color: white; color: #333333; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 17px;" /><br style="background-color: white; color: #333333; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 17px;" /><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 17px;">Mi piace riportare l'opinione di un illustre esegeta, il padre </span><br style="background-color: white; color: #333333; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 17px;" /><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 17px;">Jacques Dupont, di cui condivido la conclusione: </span><br style="background-color: white; color: #333333; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 17px;" /><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 17px;">"La mitezza di cui parla la beatitudine non è altro che quell'</span><span class="text_exposed_show" style="background-color: white; color: #333333; display: inline; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 17px;"><br />aspetto dell'umiltà che si manifesta nell'affabilità messa in<br />atto nei rapporti con il prossimo. Tale mitezza trova la sua<br />illustrazione e il suo perfetto modello nella persona di Gesù,<br />mite e umile di cuore. In fondo, tale mitezza ci appare come una forma della carità, paziente e delicatamente attenta nei riguardi altrui".<br />Comprendiamo allora perché Gesù promette ai miti il possesso della terra. La rinuncia alla vendetta, infatti, la rinuncia alla sopraffazione, alla prepotenza, fa trovare al cristiano, in ogni occasione, la via per aprire spazi alla misericordia della verità, alla costruzione di un nuovo volto della società.<br />Naturalmente, la mentalità evangelica della mitezza matura soltanto lentamente nel singolo cristiano e ancora più lentamente nell'esperienza dei popoli. Bisogna essere passati per molte prove, delusioni, amarezze, sconfitte, per capire che la violenza di ogni tipo, compresa quella morale e ideologica, è alla fine perdente.<br /><br />Vi offro tre spunti di riflessione che vi permetteranno di cogliere il messaggio permanente della parola di Gesù.<br /><br />1. Con la beatitudine dei miti Gesù condanna chiaramente ogni forma di prepotenza. La prepotenza non paga. Quindi i prepotenti, che si ritengono felici in questo mondo, sono in realtà degli sventurati, perché il loro potere è logorato alla radice<br />ed essi cadranno come un vaso di argilla che viene frantumato.<br /><br />2. Il messaggio di Gesù promuove il coraggio della non violenza. I Padri della Chiesa, che hanno commentato a lungo il brano evangelico delle beatitudini, vedono la mitezza proprio come la rinuncia alla violenza, alla vendetta, allo spirito<br />vendicativo.<br /><br />3. È importante coltivare lo spirito di dolcezza, di mitezza, di accoglienza, di capacità di amicizia e di relazioni autentiche e vere.<br /><br />(Card. Carlo Maria Martini)</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-f5TJFSDII3g/UwfLQ-0sbXI/AAAAAAAAAPg/RrYovRtTyso/s1600/martini.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/-f5TJFSDII3g/UwfLQ-0sbXI/AAAAAAAAAPg/RrYovRtTyso/s1600/martini.jpg" /></a></div>
gianfranco.nicorahttp://www.blogger.com/profile/02708760255746433511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-43918985691066876962014-02-21T22:46:00.000+01:002014-02-21T22:46:05.007+01:00Un incontro indimenticabile al Molina di Varese<span style="background-color: white; color: #333333; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 17px; orphans: 2; widows: 2;">Ci manca molto la sua umiltà', la sua parola e la sua comprensione! Per me e' stato un grande riferimento! Dopo la sua morte, come dice il mio amico Paolo De benedetti, Dio ha trovato una persona intelligente con cui dialogare e i risultati si stanno vedendo...Benedetto XVI ha fatto una scelta coraggiosa ed è' arrivato Francesco, che Martini aveva indicato già' nel Conclave precedente. Ora la chiesa può' recuperare i 200 anni di ritardo! Padre Martini noi ti preghiamo di non dimenticarci e di pregare per i poveri, gli sbandati, coloro che dicono di non credere in Dio, per i preti allontanati dalla Chiesa, per i separati, i divorziati, perché' anche di loro e' il Regno dei cieli</span><br style="color: #333333; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 17px; orphans: 2; widows: 2;" /><span style="background-color: white; color: #333333; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 13px; line-height: 17px; orphans: 2; widows: 2;">Carlo Maria ci manchi tanto, soprattutto qui nella Diocesi di Milano!</span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-TPRojJawYpI/UwfIeMnj9pI/AAAAAAAAAPU/FA1g9skDzck/s1600/IMG_1719.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://1.bp.blogspot.com/-TPRojJawYpI/UwfIeMnj9pI/AAAAAAAAAPU/FA1g9skDzck/s1600/IMG_1719.jpg" height="240" width="320" /></a></div>
gianfranco.nicorahttp://www.blogger.com/profile/02708760255746433511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-6745089435778865362014-02-21T09:28:00.003+01:002014-09-11T06:27:23.283+02:00Maria, segno di benedizione<br>
<br>
Nelle omelie e nelle preghiere del card. Martini non manca mai un accenno alla Madonna, chiedendo una sua intercessione.<br>
<br>
Riporto una omelia, che è' un ottimo spunto di meditazione su Maria, segno di benedizione<br>
<br>
Dalle “maledizioni” umane, alla partecipazione della “benedizione” di Maria<br>
In questa festa liturgica della Madonna ascoltiamo una pagina della Scrittura che è davvero impressionante.<br>
Mi ha colpito perché in essa c’è, per la prima volta nella Bibbia, la parola della maledizione: Maledetto il serpente più di tutte le bestie selvatiche (Gn 3, 14).<br>
La maledizione del serpente è simbolo della maledizione di tutte quelle cose che rovinano gli uomini.<br>
<br>
Mi ha colpito perché penso<br>
a quante altre volte la parola «maledizione» è stata, da allora, ripetuta,<br>
a quante volte sono state lanciate nel mondo delle maledizioni gli uni contro gli altri,<br>
a quante volte siamo giunti a maledire noi stessi e addirittura a maledire Dio.<br>
A partire dal racconto che la Scrittura ci riporta,<br>
il segno doloroso del peccato e della tristezza<br>
è entrato nel mondo e, per così dire, ci perseguita.<br>
Forse non arriviamo sempre a pronunciare quella parola<br>
ma ci sono tante cose in noi, intorno a noi,<br>
nella società che non vanno,<br>
che noi non vogliamo e che suscitano in noi un moto di ribellione.<br>
Ci ribelliamo contro noi stessi perché non siamo sempre ciò che vorremmo essere;<br>
ci ribelliamo contro gli altri che riteniamo la causa di ciò che in noi non va;<br>
ci ribelliamo anche contro Dio perché non sappiamo capire quanto Dio ci ama.<br>
<br>
È, dunque, una parola terribile che si riproduce nella storia umana,<br>
così come si riproduce il peccato.<br>
È il peccato la vera causa di tutte le scontentezze, di tutte le tristezze,<br>
di tutte le guerre, di tutte quelle cose che sono in realtà la maledizione dell’uomo.<br>
<br>
Ed ecco che il Vangelo ci porta il ricordo delle parola contraria alla maledizione:<br>
«Benedetta tu, benedetta tu tra le donne!» (Lc 1, 42).<br>
Questa parola rivolta alla Madonna è simbolo del meglio di noi stessi.<br>
<br>
Noi siamo chiamati non a maledire noi stessi e gli altri:<br>
noi siamo chiamati in realtà a benedire Dio,<br>
a benedire la vita, a benedire il futuro.<br>
La Madonna è il simbolo di tutto questo,<br>
è il simbolo di tutte quelle cose che noi vorremmo essere,<br>
è il simbolo di quello che vorremmo che il mondo fosse,<br>
che vorremmo che gli altri fossero, che vorremmo che fosse la società.<br>
<br>
Pregando oggi la Madonna noi preghiamo, quindi,<br>
col meglio di noi stessi, con tutto ciò che di bene c’è in noi.<br>
Preghiamo perché questo bene si allarghi,<br>
preghiamo perché ciò che in noi è magari soltanto uno spazio di luce<br>
diventi più largo,<br>
preghiamo perché ciò che in noi è uno spiraglio di serenità cresca.<br>
Possiamo augurarci che la Madonna entri nella nostra vita con la sua benedizione<br>
in modo da poter dire, in tutta verità:<br>
benedetta sei, o Maria, tra tutte le donne!<br>
Fammi partecipe della tua benedizione,<br>
fa’ che anch’io senta quanto c’è in me<br>
che può diventare parte della tua benedizione!<br>
Carlo Maria Martini, Solennità dell’Immacolata Concezione<br>
<br>
<br>gianfranco.nicorahttp://www.blogger.com/profile/02708760255746433511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-45830378431967981362014-02-21T07:15:00.000+01:002014-02-21T07:17:54.242+01:00Beati i poveri in spirito<br />
<br />
Beati i poveri in spirito<br />
L’ascolto credente della Parola di Dio libera e unifica. Esso unisce tra loro quelli che ascoltano la stessa Parola, producendo esperienza di autentica comunicazione.<br />
Dio richiede dall’uomo innanzitutto l’ascolto, l’accoglienza fiduciosa della sua Parola: la fede. È la prima risposta che l’uomo dà con tutto se stesso a Dio che parla, ricevendolo e accogliendolo come principio e norma per la sua esistenza.<br />
Ci soffermeremo sul discorso della montagna. In particolare sulla prima beatitudine.<br />
S. Matteo inizia il grande discorso della montagna (Mt.5-7) così: <br />
Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la Parola, li ammaestrava dicendo: Beati... ( Mt. 5, 1-2)<br />
Questo brano delle “Beatitudini” lo abbiamo ascoltato molte volte, ma è conosciuto anche dai non cristiani, ad esempio, Gandhi lo citava spesso.<br />
Le Beatitudini sono la proclamazione del modo di essere uomini evangelici, discepoli autentici di Gesù, uomini e donne fortunate e felici..<br />
Diceva Ignazio Silone: "Se il cristianesimo viene spogliato delle sue cosiddette assurdità per renderlo gradito al mondo, e adatto all’esercizio del potere, cosa ne rimane? Voi sapete che la ragionevolezza, il buon senso, le virtù naturali esistevano già prima di Cristo e che si trovano anche ora presso molti non cristiani. Che cosa ci ha portato Cristo in più?<br />
Appunto apparenti assurdità. Ci ha detto: amate la povertà, amate gli umiliati e gli offesi, amate i vostri nemici, non preoccupatevi del potere, della carriera, degli onori, delle cose effimere, indegne di anime immortali."<br />
<br />
Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Vangelo di Matteo 5,3)<br />
<br />
Lectio:<br />
1. Beati i poveri in spirito<br />
Il termine “poveri” usato in questa pagina del Vangelo indica coloro che non hanno nulla: i mendicanti, gli indigenti, i poveri nel senso materiale, coloro che chiedono l’elemosina, che fanno accattonaggio ...<br />
Ma nel testo di Matteo la parola “poveri” è accompagnata da una qualificazione importante: “in spirito”.<br />
Questa parola è stata tradotta in diversi modi nella varie traduzioni della Bibbia: “Beati i poveri di cuore”, o “Beati coloro hanno un’anima da poveri” o ancora “”Beati coloro che scelgono di essere poveri”, o “ Beati quelli che sono poveri di fronte a Dio” ..<br />
Tutte queste sfumature dicono che per capire bene il pensiero di Gesù, è necessario andare oltre il significato immediato dell’accattonaggio.<br />
Gesù, in realtà, riprende la parola “povero” non nel senso fisico di indigenza bensì nei suoi valori interiori che troviamo già nell’Antico Testamento.<br />
Dice il profeta Sofonia 82,3): Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini; cercate la giustizia, cercate l’umiltà.<br />
“Voi tutti poveri della terra” viene anche tradotto: voi tutti umili della terra.<br />
I poveri e gli umili, per il profeta Sofonia, sono coloro che hanno imparato a vivere sottomessi alla volontà di Dio, fiduciosi nella sua provvidenza, sapendo che Dio non li ha dimenticati.<br />
Allora, per Matteo, “i poveri” sono coloro che non fanno affidamento sulle proprie forze, ma si affidano a Dio, perché certi di Lui, della sua bontà, della sua potenza, della sua misericordia.<br />
I poveri sono coloro che hanno messo in Dio ogni speranza.<br />
2. Perché di essi è il Regno dei cieli.<br />
I poveri in spirito avendo posto in Dio ogni speranza, sono disponibili alla buona notizia di Gesù, sono disponibili al suo Vangelo.<br />
Chi possiede molto, chi è sicuro di sé, barricato nei suoi privilegi e in tutto ciò che ha e che è, teme sempre di essere disturbato, di vedere vacillare il trono che si è conquistato. Si chiude come un riccio, di fronte alla proposta nuova e coraggiosa del Vangelo di Gesù.<br />
Chi invece ha imparato a non contare su se stesso, chi ha imparato a conoscere la fragilità umana e quella di tutte le realtà cui cerchiamo di aggrapparci, è aperto alla novità del Regno.<br />
Il Regno è già suo in qualche modo, perché è disposto a riceverlo volentieri e con gioia, perché accoglie la Parola di Gesù come parola che rassicura, conforta, dona serenità e speranza.<br />
<br />
Meditatio:<br />
<br />
che cosa dice a noi questa parola? Il messaggio di questa prima beatitudine?<br />
Per cogliere meglio il messaggio di questa prima Beatitudine possiamo ricordare altre parole che nel Vangelo, pur con termini diversi, designano coloro che sono “poveri in spirito”.<br />
Infatti le grandi parole bibliche non sono mai definibili geometricamente o matematicamente, perché si riferiscono alle profondità del cuore, a tutta la ricchezza interiore che pervade il discorso biblico.<br />
Ne possiamo ricordare tre.<br />
1) Se non vi convertirete e non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli (Mt. 18,2)<br />
I bambini si fidano, sono semplici, si abbandonano in tutto ai genitori, si lasciano fare. Così deve essere il nostro atteggiamento di fronte a Dio, per entrare nel Regno, per accoglierlo.<br />
2) Ti ringrazio,Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli (Mt. 11,25)<br />
I piccoli sono i lattanti, gli infanti, cioè quelli che non sanno parlare.<br />
Vuol dire che le cose di Dio non vengono rivelate a coloro che credono di sapere molto, di essere ricchi di cultura e di dottrina, di non aver bisogno di imparare alcunché da nessuno, ma, invece, sono rivelate a quelli che sanno di sapere poco e di dover imparare molto.<br />
3) Il Signore ha guardato all’umiltà della sua serva ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili. (Lc. 1, 48. 52)<br />
Coloro che pretendono di primeggiare, di spingere, di farsi largo schiacciando gli altri, non sono graditi a Dio.<br />
Al contrario lo sono quelli che accettano umilmente la loro condizione, fidandosi di Dio, mettendosi nelle sue mani, sapendo che lui solo è immensamente più grande di qualsiasi persona.<br />
Ecco allora il messaggio per noi: l’atteggiamento che il Signore ci chiede è l’atteggiamento che spalanca il nostro cuore al mistero di Dio, che ci rende semplici, non superbi, che ci fa capaci di affidamento, di abbandono, di attesa di Dio.<br />
Per comprenderlo meglio dobbiamo guardare Maria nel momento dell’Annunciazione, dobbiamo pensare a Gesù mite e umile di cuore.<br />
Allora impareremo l’importanza di opporsi alla pretesa di sapere già tutto di Dio, di sé, degli altri.<br />
Soltanto quando il cuore è umile, quando il cuore è consapevole di dover aspettare tutto da Dio, Dio viene incontro all’uomo.<br />
L’atteggiamento che viene condannato dalle Beatitudini e da tutto il messaggio evangelico è quello di chi è sazio, appagato, contento solo di avere sempre più denaro, più potere, più divertimenti, più comodità, senza accorgersi di essere interiormente arido, nudo, privo di sentimenti profondi, privo di umanità, di fede, di speranza.<br />
<br />
Contemplatio:<br />
Contempliamo Gesù sulla croce, contempliamo il Figlio di Dio che si è fatto povero per noi, che si è dato in balia degli uomini, che si è consegnato a noi.<br />
<br />
Actio<br />
<br />
Che cosa diciamo noi al Signore?<br />
1) Il povero di spirito è una figura di uomo affascinante: è l’uomo che ha capito che deve tutto a Dio; non si atteggia a padrone del mondo o degli altri, ma sa di dipendere da Dio ed è contento ...<br />
2) Il povero di spirito è povero, ha bisogno degli altri, ma ha una sicurezza: Dio lo ama e ha stima di lui. Il povero di spirito, allora, è colui che chiede, domanda, ringrazia, nella consapevolezza che ciò che incontra è un dono; e se è messo da parte, sa che Dio non lo mette da parte mai.<br />
l povero di spirito è sicuro che Dio è la radice della sua dignità che nessuno gli può togliere.<br />
3) Il povero di spirito chiede , fa presente il suo bisogno con discrezione, non è petulante, non ha vergogna di essere aiutato e sa che le cose che riceve sono un dono. Se si sente amato da qualcuno, si meraviglia e riconosce che l’amore vero è gratuito. Chi pensa di avere diritto a tutto e di meritare tutto, non gusta mai la bellezza del dono e dell’amore.<br />
4) Il povero di spirito non è un violento, i violenti sono coloro che vogliono emergere.<br />
5) Il povero di spirito dice sempre “grazie” a Dio, alle persone, quasi stupito che simili doni possono capitare proprio a lui.<br />
Qualche domanda:<br />
E’ nostro compito diventare persone così, come Gesù<br />
* Persone contente di dipendere da Dio, di affidarsi a Dio sempre<br />
* Persone che spalancano il proprio cuore, che si rendono disponibili al mistero di Dio<br />
* Persone che sanno dire sempre grazie a Dio<br />
<br />
Preghiera.<br />
Preghiamo facendoci poveri, mendicanti della grazia di Dio, del suo perdono, del suo Regno, della sua misericordia:<br />
Grazie Signore, perché ci hai fatto partecipare un poco alla beatitudine dei poveri in spirito e quindi alla promessa del tuo Regno.<br />
Carlo Maria Martini<br />
<br />
<br />
<br />
<br />gianfranco.nicorahttp://www.blogger.com/profile/02708760255746433511noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-34637009527721096262013-10-25T19:18:00.000+02:002013-10-25T19:18:03.670+02:00L'assillo missionario del Cardinal Martini raccontato da lui stessoSan Paolo scrivendo ai Corinti parla di un “assillo quotidiano” che lo ha
accompagnato lungo il suo ministero: “la preoccupazione per tutte le Chiese” (2Cor
11,28). La <i>sollicitudo omnium ecclesiarum</i> è una caratteristica dell’apostolo alla
quale ciascun vescovo si sente chiamato, così da condividere con il Papa l’ansia
dell’evangelizzazione e da saper ascoltare la voce dello Spirito che in ogni Chiesa
suscita vocazioni e carismi per la missione e in particolare per la missione <i>ad gentes</i>.<br />
Già l’appartenenza alla Compagnia di Gesù mi aveva fatto incontrare
l’orizzonte missionario e molti miei compagni di studi furono inviati in regioni
lontane; i racconti dei missionari gesuiti hanno nutrito gli anni della mia formazione e
i primi tempi della mia appartenenza alla Congregazione; come ogni gesuita io stesso
mi ero reso disponibile all’invio missionario se i Superiori me lo avessero richiesto
(si trattava allora in particolare del Giappone).<br />
Anche negli anni dell’insegnamento accademico al Pontifico Istituto Biblico
avevo sperimentato che la Chiesa è “universale”: ho incontrato studenti di tutte le
nazionalità e ho visto molti di loro nominati Vescovi nelle diocesi di origine; altri li
ho ritrovati anni dopo impegnati nelle strutture formative delle giovani Chiese
(Seminari, Centri pastorali, Facoltà teologiche, ecc.); altri ancora hanno portato il
frutto della loro preparazione nel cuore di sfide durissime in situazioni di particolare
violenza o povertà, come per esempio i gesuiti uccisi nel 1989 nell’Università
dell’America Latina a San Salvador.<br />
Durante il ministero episcopale a Milano ho avuto ancora più di prima la grazia
di incontrare l’infinita ricchezza dei doni dello Spirito nell’ambito specifico della
<i>missio ad gentes</i>. Le missionarie e i missionari nativi – preti, religiose e religiosi,
laici – sono più di duemila (un numero pari a quelli dei preti diocesani), presenti in
tutti i paesi del mondo. La maggior parte di essi vive con piena dedizione il servizio
alle giovani Chiese, non raramente in situazioni estreme di povertà, di violenza, di
guerra; alcuni invece sono costretti a riposo dall’avanzare dell’età o dalle malattie;
altri infine svolgono temporaneamente una preziosa opera di animazione missionaria
qui in Italia e vivono, con la soddisfazione per la crescente sensibilità verso i temi
dell’evangelizzazione, anche la preoccupazione per il calo delle vocazioni, che
colpisce pure gli istituti missionari e religiosi.<br />
Con molti missionari e missionarie, anche non milanesi, ho potuto sviluppare
un rapporto diretto grazie alla fittissima corrispondenza che ci siamo sempre
scambiati. Talvolta si sono presentati con richieste di aiuto; ma nella maggior parte
dei casi ciascuno mi proponeva, spesso a partire dalla lettura di qualche mio libro,
una testimonianza personale circa la propria vocazione, il desiderio di fedeltà
evangelica, il drammatico confronto con le miserie di tanti popoli, l’entusiasmo di
stampo giovanile nel perseverare anche dopo anni di lavoro apostolico. Per la
ricchezza della fede, per la passione evangelizzatrice e per la carità testimoniata in
ogni angolo della terra, ho con tutti loro un debito di gratitudine e riconoscenza, che
ogni anno ho cercato di esprimere nell’incontro con i missionari rientrati per le
vacanze.<br />
<a name='more'></a><br />
Ho colto in molte esperienze come la missione della Chiesa non possa nascere
se non da una preghiera profonda e fiduciosa e da un costante contatto con la Parola
di Dio, riletta anche a partire dalle situazioni locali e dalla sensibilità per culture ed
esperienze nuove. Grazie ai missionari ho potuto comprendere meglio la “<b>cattolicità</b>”
della Chiesa, che non è solo estensione geografica, dialogo culturale, apertura
all’altro, ma riconoscimento dell’opera di Dio in ogni cuore umano e desiderio di
risvegliare in esso l’ascolto del Maestro interiore.
Ho potuto sperimentare universalità e cattolicità della Chiesa anche
rispondendo alle proposte che mi venivano fatte anno dopo anno per visitare le
giovani Chiese. In tali visite ho cercato di privilegiare sempre un approccio
particolare: più che gli aspetti pubblici della vita della Chiesa locale, mi interessava
viverla dall’interno; ho perciò scelto di recarmi là dove la predicazione degli esercizi
spirituali mi consentiva un approccio più profondo a diverse categorie di persone e
alle comunità locali. L’ascolto della Parola di Dio e la preghiera comune sono così
diventate le basi di una serie di incontri personali che per me erano vera rivelazione
delle opere di Dio in quei luoghi: ho potuto gioire di questa singolare comunicazione
nella fede. Accadeva pure che accanto all’esperienza di predicazione, gli
organizzatori dovessero spesso considerare ulteriori possibilità di incontri con
comunità parrocchiali, istituti religiosi, gruppi e situazioni particolarmente espressive
di presenza cristiana o di impegno evangelico; in qualche caso non è mancato il
dialogo con le autorità politiche o con i rappresentanti di altre confessioni cristiane o
di altre religioni. Tutto ciò ha costituito occasione per un incontro diretto con tante
realtà che, dapprima narrate dagli stessi protagonisti, diventavano poi concrete
davanti ai miei occhi.
Una parte significativa delle visite all’estero le ho riservate alle cosiddette
“missioni diocesane”. Già i miei predecessori, i cardinali Montini e Colombo,
avevano inviato, sull’onda dell’enciclica di Pio XII Fidei Donum, alcuni preti nella
regione allora denominata Rhodesia; dopo le travagliate vicende politiche e militari
degli anni ’70, la presenza milanese si è attestata nell’odierna Zambia, nelle diocesi
di Lusaka e Monze. Nel decennio successivo, grazie soprattutto all’amicizia con il
card. Christian Tumi, mio compagno di ordinazione episcopale, arcivescovo allora di
Garoua, sono stati inviati altri preti fidei donum in Camerun. E negli anni ‘90 si è
aperta la collaborazione con la diocesi di Huacho in Perù. Nello stesso periodo altri
preti fidei donum sono stati inviati in una dozzina di paesi del mondo. Da qualche
tempo infine si sono affiancati ai preti fidei donum alcuni laici inviati dalla diocesi
come operatori pastorali su specifici progetti presentati dalle comunità locali.<br />
Ho avuto dunque più volte occasione di osservare da vicino l’opera dei
missionari diocesani, di condividere le loro giornate e di valutarne l’esperienza.
Ritengo che l’impegno diretto della diocesi nella collaborazione con alcune Chiese
sorelle, senza mortificare il ruolo tipico degli istituti religiosi e missionari, abbia
consentito anche alla nostra Chiesa locale di misurarsi concretamente con i temi
tradizionali dell’evangelizzazione, dal primo annuncio alla plantatio Ecclesiae, ma
soprattutto sia diventato occasione per arricchire la tradizione ambrosiana a partire
dall’esperienza missionaria. Alcuni fidei donum e laici rientrati in diocesi hanno dato
vita a esperienze nuove, anche se solo iniziali, di unità pastorali o di più stretta
corresponsabilità dei laici nella vita delle parrocchie. Il numero di queste
sperimentazioni è ancora ridotto, ma il tempo suggerirà come approfondire questi
cammini.
Mi ha sempre molto colpito che alcune parrocchie affidate ai preti fidei donum
ambrosiani – cito quelle di Djamboutou in Camerun, di Chirundu in Zambia o di
Cajatambo sulle Ande peruviane – siano più estese della stessa diocesi di Milano,
pur contando sul loro territorio poche decine di migliaia di abitanti e ovviamente
ancor meno cattolici. La diocesi di Milano, definita “la più grande” del mondo per
il numero di parrocchie – oltre mille – e la concentrazione di attività e iniziative
ecclesiali, ha un suo centro ben definito nella metropoli e presenta poi una serie di
aggregazioni attorno a città minori, ma importanti per attività economiche, industriali,
sociali, ecclesiali. Tuttavia parlare di “città” e di urbanesimo a Milano è diverso
che farlo in riferimento alle grandi megalopoli degli altri continenti. Percorrere città
come Lima, Bombay, Bangkok, Nairobi mi ha sempre lasciato inquieto, facendomi
ripensare a san Paolo che nel caos di Corinto invoca la protezione del Signore sulla
sua attività evangelizzatrice e ne ottiene come risposta: “Non temere: ho un popolo
numeroso in questa città”.
Nelle missioni diocesane più che contesti urbani ci siamo trovati ad animare,
specialmente in Africa, comunità che prevalentemente si espandono in vaste aree
rurali dove le condizioni di vita delle popolazioni non sono meno ardue di quelle
cittadine e dove l’opera di evangelizzazione si scontra con tradizioni e culture
religiose profondamente radicate e misteriose. Si può così comprendere che
l’equilibrio dell’inculturazione nell’annuncio evangelico non può essere cercato a
priori, ma si raggiunge anzitutto cercando di porsi in ascolto dell’originalità di ogni
contesto umano, per coglierne i valori e i contrasti, per lievitare ciò che del Vangelo è
rimasto nascosto e convertire ciò che vi si oppone.
Scrivendo più di dieci anni fa una riflessione sulla città dal titolo Alzati e va’ a
Ninive credo di essere stato influenzato non solo dalle caratteristiche osservate nelle
grandi città del mondo, ma anche dal metodo seguito da tanti missionari nel porsi in
ascolto della realtà. Mi chiedevo allora se la città – mi riferivo ovviamente a Milano
– sia anche luogo di salvezza. Ciò che osserviamo nelle megalopoli del mondo, nei
loro contrasti di ricchezza e povertà, nell’accumularsi di disperazione e lotta per la
sopravvivenza, le farebbe ritenere a prima vista luoghi di perdizione; credo che anche
per questi agglomerati smisurati valga quanto mi sforzavo di esprimere allora: la
città è anche un fatto morale; a essa la Chiesa è debitrice di Vangelo e di speranza.
Scrivevo: “La Chiesa interviene nella vita dei singoli abitanti della città per offrire
loro la Parola e i sacramenti che cambiano la vita e sostengono nel cammino verso
Dio. Interviene anche nella vita della città come aiuto a comprendere il senso unitario
e ultimo dell’esistenza dei rapporti umani che compongono e rendono significativa
la vita di ciascuno e di tutti”. Ho visto tanti missionari lavorare con questo stile, che
ritengo necessario anche nel nostro contesto di antica cristianità.
Mi piacerebbe soffermarmi su molti ricordi e luoghi precisi dell’Africa o,
specialmente, dell’America Latina che è tuttora un laboratorio di pastorale per
il futuro.<br />
Una riflessione particolare merita tuttavia il continente asiatico: il mio
desiderio di vivere a Gerusalemme mi porterà ancora su quella terra, da dove è partito
il cammino missionario degli apostoli di Gesù, che ha lasciato tracce significative non
solo in Europa, ma in tutto il Medio Oriente fino alla lontana India.
Per quanto riguarda l’Asia i miei itinerari mi hanno portato in Giappone,
Corea, Hong Kong, Macao, Indonesia, Bangladesh, India, Thailandia, Taiwan; mi ha
stupito la vivacità di comunità cristiane solide, pur se minoritarie rispetto alle grandi
religioni locali; comunità ben coscienti del significato dei grandi evangelizzatori che
hanno dato inizio alla missione in Asia, quali san Francesco Saverio o Matteo Ricci.
Il potenziale civile ed economico di quei paesi è enorme, ma colpiscono anche là la
disuguaglianza nella distribuzione delle ricchezze, l’insufficiente sviluppo a livello
di base e rurale, la fragilità di un sistema ancora dipendente dalle scelte strategiche
dell’occidente sviluppato; talvolta tutto pare integrarsi perfettamente, in altri momenti
la forza dirompente della finanza e degli interessi pare sottomettere tutto, anche le
tradizioni più nobili. Nell’osservatore attento sorge la domanda su quale rapporto
possa esserci tra sviluppo economico e sviluppo sociale, tra convivenza e giustizia,
tra tradizioni religiose ed etica civile.
Un’analisi piuttosto semplificata tende ad attribuire ai grandi contrasti
internazionali di oggi una base di carattere religioso, per esempio tra occidente
cristiano e oriente islamico; la storia dell’Europa porta ancora i segni di guerre
definite “di religione”. Personalmente resto convinto che il dialogo con le grandi
tradizioni religiose orientali costituisca la sfida spirituale del futuro.
Sul versante del dialogo tra le religioni lo sforzo della Chiesa dal Concilio
a oggi è andato crescendo e si è espresso al massimo livello con le iniziative di
Giovanni Paolo II, specialmente gli incontri di Assisi del 26 ottobre 1986 e del 24
gennaio scorso, con la pubblicazione di un Decalogo dove tutte le religioni hanno
dichiarato che qualsiasi ricorso alla guerra e alla violenza non può essere fatto in
nome di Dio. Ebbene, proprio dall’Asia da cui arrivano spesso segnali inquietanti
di rigurgiti fondamentalisti e di intolleranza religiosa potrebbero forse nascere e
approfondirsi forme di dialogo interreligioso a servizio dell’uomo e della pace.
Una menzione speciale va fatta della Cina. Un Paese vastissimo e complesso,
abitato da oltre un miliardo di persone che esprimono una civiltà antica e per noi un
po’ indecifrabile, dove la Chiesa vive tra spinte in avanti dovute a cristiani coraggiosi
e perseveranti, e difficoltà e persecuzioni a causa di un regime che non tollera
interferenze al suo interno. Ho però registrato che, soprattutto a livello culturale, si
aprono spazi interessanti, nei quali anche al mondo cristiano è consentito esprimersi:
è un buon segno quando le persone e le idee cominciano a circolare liberamente e a
confrontarsi.
La Cina, con il suo tumultuoso sviluppo, una repentina e talora ambivalente
crescita economica e politica, può essere considerata un’icona della globalizzazione,
dal momento che sul suo immenso territorio convivono le frontiere più avanzate
della tecnologia e la miseria delle sterminate aree rurali, l’apertura al mondo e il
nazionalismo, la tentazione di sposare il “nuovo” e la volontà di non perdere le
radici del passato. I recenti cambiamenti che hanno orientato il paese nel senso
dell’economia di mercato hanno portato a mutare mentalità, valori e stile di vita e
anche i cristiani ne sono condizionati. Inoltre l’atteggiamento da sempre negativo
del regime politico nei confronti della Chiesa ha impedito di realizzare il Concilio
Vaticano II. Per questo abbiamo sostenuto con interesse un progetto dei missionari
Comboniani di Macao per la formazione di sacerdoti, seminaristi, religiose e
operatori pastorali laici.
Qualcuno ha osato paragonare l’azione evangelizzatrice della Chiesa, che
risale direttamente al giorno di Pentecoste, a un’opera di prima globalizzazione,
che troverebbe oggi possibilità infinite di espansione. Userei l’immagine della
globalizzazione solo in senso analogico, non solo per la natura teologica tipica della
Chiesa, ma anche come lettura di un fenomeno storico le cui caratteristiche odierne
non sono paragonabili ad altri periodi della storia umana.
È stato profetico che nell’anno del giubileo il Papa abbia invitato a un gesto
emblematico in campo internazionale, quale la remissione del debito estero dei paesi
più poveri: un invito che tuttavia non ha trovato molta attenzione nei governi e nelle
istituzioni economiche internazionali, come Giovanni Paolo II stesso riconosce nella
Novo Millennio Ineunte. Un tema come questo entra con forza a discernere che nel
fenomeno della globalizzazione molto va rivisto e modificato: anche le comunità
italiane, grazie alla campagna lanciata dalla CEI e con la collaborazione di tutte le
istanze missionarie, sono cresciute nella sensibilità a contenuti altrimenti ritenuti
ostici, nella conoscenza dei rapporti esistenti tra meccanismi perversi della finanza
internazionale e mancato sviluppo dei popoli, nella necessità di trovare stili di vita
alternativi e ispirati più direttamente al Vangelo.
I missionari sperimentano in presa diretta i risultati negativi del fenomeno
sia sotto il profilo sociale, legato quindi alla ingiusta distribuzione dei beni e al
conseguente impoverimento di interi popoli, sia sotto il profilo culturale, quando
vedono persone e comunità appiattirsi su modelli di comportamento che, accanto a
indubbi valori, portano anche aspetti superficiali, appariscenti, devastanti. Questa
riflessione investe non solo la vita e la testimonianza dei singoli cristiani, ma il
modo di porsi della Chiesa stessa: la chiarezza del suo messaggio, la trasparenza del
volto di Cristo, l’accoglienza di ogni fratello e sorella nel nome di Gesù, il gusto per
l’essenzialità nei momenti dell’annuncio e della condivisione. Sono domande che ci
vengono non solo dalle giovani Chiese, ma anche da quanti vengono in Italia da paesi
stranieri e hanno diritto di trovare una Chiesa capace di trasmettere il Vangelo e di
viverlo fino in fondo.
Tornando a Gerusalemme, mi piacerebbe rivivere lo stile stesso di Gesù, il suo
rivolgersi alla gente in modo persuasivo, il gusto delle parabole raccontate a chi nella
quotidianità ricerca i segni di Dio. E vorrei ripetere a tutti i missionari e missionarie
che in questi anni ho incontrato, l’invito all’annuncio, con totale passione, ma senza
angosce: come già scrivevo nel 1991 “Evangelizzare non significa necessariamente
far cristiani tutti gli uomini né far tornare in chiesa tutti i battezzati e in particolare
quelli che ci andavano e hanno smesso di andarci. (…) Evangelizzare significa
anzitutto promulgare la buona notizia con fatti e parole e attuare l’annuncio così
che sia possibile, a chiunque abbia buona volontà, poter cogliere la buona notizia
nelle sue forme più genuine e autentiche, e quindi approfondirla e, se lo decide,
accoglierla”.<br />
Card. CARLO MARIA MARTINIdonambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-25027562010285222012012-09-26T15:25:00.000+02:002012-09-26T15:25:00.373+02:00Nella foto il Cardinale Carlo Maria Martini, con don Luigi Milani, visita l’Eremo di Santa Caterina del Sassoballaro in ristrutturazione; in seconda posizione l’indimenticabile Padre domenicano Angelo Maria Caccin.<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-qds_ykJv3gc/UF26aInCvVI/AAAAAAAAW_Y/uVzJUo_0N68/s1600/2012-09-22" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="229" src="http://1.bp.blogspot.com/-qds_ykJv3gc/UF26aInCvVI/AAAAAAAAW_Y/uVzJUo_0N68/s320/2012-09-22" width="320" /></a></div>
<br />donambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-23486729763316868602012-09-24T15:21:00.000+02:002012-09-24T15:21:00.294+02:00Il cardinal Martini sulle rive del Lago MaggioreCuriosa foto del cardinal Martini, ripreso in riva al Lago Maggiore, accompagnato da don Luigi Milani, allora parroco di Leggiuno.<br />
La presenza dei canottieri sulle loro imbarcazioni da un sapore biblico a questa foto del ricordo, non vi pare?<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-nnXeYeDpai4/UF25JXBD7ZI/AAAAAAAAW-4/v2yq0-_ZOEo/s1600/2012-09-22" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="229" src="http://1.bp.blogspot.com/-nnXeYeDpai4/UF25JXBD7ZI/AAAAAAAAW-4/v2yq0-_ZOEo/s320/2012-09-22" width="320" /></a></div>
<br />donambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-26783519494222210762012-09-22T15:20:00.002+02:002012-09-22T15:20:54.943+02:00Martini consacra l'altare di Schianno<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-jRkTjrVLPdY/UF21oJk-2hI/AAAAAAAAW-M/F-ebWqd-eZ8/s1600/2012-09-22" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="237" src="http://4.bp.blogspot.com/-jRkTjrVLPdY/UF21oJk-2hI/AAAAAAAAW-M/F-ebWqd-eZ8/s320/2012-09-22" width="320" /></a></div>
<br />
Visita del card. Martini a Schianno, Varese, per la consacrazione dell'altare della chiesa di san Giorgio, 6 settembre 1998.<br />
<br />
Nella foto gentilmente offerta da Zanzi Giuliano e Roberta, alla destra del Cardinale vediamo don Francesco Pelizzola e don Piero Allevi,alla sinistra don Adriano.donambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-11888675994728349612012-08-31T23:47:00.000+02:002012-09-02T22:40:25.879+02:00Per me Martini è un padre della chiesa e un padre nella fede. Svelata la sigla cmmddcCarissimi lettori di questo blog.<br />
Il giorno che si conclude ci ha portato la notizia amara della morte del cardinal Carlo Maria Martini.<br />
Mons. Luigi Mistò l'ha commentata dicendo: "Abbiamo la sua eredità".<br />
È vero, è un'eredità grandissima e a noi tocca non perderla, non dimenticarla ma coltivare la lettura dei suoi scritti, meditare le sue analisi bibliche e nutrirci di tanti suoi pensieri illuminanti.<br />
<br />
Oggi è il giorno propizio per dire a tutti che per me<b> il card. Carlo Maria Martini è stato un padre della chiesa </b>e un padre nella fede.<br />
Questo è il motivo della sigla che avevo scelto qualche anno fa come titolo di questo blog: <b>cmmddc </b>ovvero "Carlo Maria Martini, Dottore della Chiesa".<br />
Ne sono convinto, ho conosciuto tutto il suo magistero, 11 anni da seminarista e 11 da prete.<br />
Per me è stato semplicemte "il" vescovo, colui che mi ha ordinato prete, ma soprattutto colui che nel suo percorso di insegnamento ha saputo diffondere la parola di Dio come forse prima di lui aveva potuto fare solo san Gerolamo.<br />
Da studioso a pastore, lo sento una figura della portata dei nostri grandi padri della chiesa di occidente, come san Agostino che da studioso è diventato pastore e come sant'Ambrogio di cui è stato successore sulla stessa cattedra episcopale.<br />
E se oggi non posso compararlo con papa san Gregorio Magno, è solo perchè in conclave è andato con il bastone...<br />
<br />
Amici e lettori di questo blog... da oggi ancora più necessario.<br />
Aiutiamoci a mantenere viva la sua memoria.<br />
Segnalate testi, frasi, video foto e li pubblicheremo perchè non sia dimenticato il loro valore.<br />
<br />
<i>Don Ambrogio Cortesi</i>donambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-73715454181606140842012-08-31T23:28:00.002+02:002012-08-31T23:28:50.652+02:00Martini è defunto: il ricordo di un parrocoCome ogni venerdì alle tre i lenti rintocchi del campanone hanno ricordato a tutti,praticanti e non praticanti che Gesu’ è morto per salvarci. A messa diciamo “annunciamo la tua morte ,proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta”.
Il campanone,un’ora e mezza dopo, ha ripreso a suonare, a lungo,per dirci che una persona eccezionale che viveva nell’attesa del ritorno del Signore ci aveva lasciato.Sul calendario murale appeso al bar dell’oratorio la frase evangelica di oggi 31 agosto,giorno della morte del nostro caro card.Martini diceva proprio: ”uscirono incontro allo sposo…”
Avrebbe voluto morire a Gerusalemme,come Gesú, invece Gesu’ è venuto ad accoglierlo, a prenderlo tra di noi.
La foto di Martini che Vi ho mandato quindici giorni fa aveva suscitato ricordi personali e tanta commozione.
Don Luigi Milani, Schianno (Varese)donambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-56887392950116235422012-08-18T12:32:00.000+02:002012-08-18T15:02:34.051+02:00Attuali condizioni di salute del Cardinal Martini<a href="http://3.bp.blogspot.com/-g3BNKkK78Ww/UC9urxKqwmI/AAAAAAAAW9A/PprsnuIXXQM/s1600/visita-Martini.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://3.bp.blogspot.com/-g3BNKkK78Ww/UC9urxKqwmI/AAAAAAAAW9A/PprsnuIXXQM/s320/visita-Martini.jpg" width="240" /></a><span style="background-color: white; color: #222222; font-family: arial, sans-serif; font-size: 13px;">Domenica 12 agosto scorso il Decano di Azzate, don Angelo Cavalleri, al termine della s.Messa celebrata a Schianno alle 8.30 ha fatto dono a tutti i presenti della sua testimonianza dopo la visita che aveva effettuato al card.Martini nei giorni precedenti.</span><br />
<div class="MsoNormal" style="background-color: white; color: #222222; font-family: arial, sans-serif; font-size: 13px;">
“<i>Ho vissuto un’esperienza molto bella, indimenticabile e non posso tenerla per me. Il “Maestro della Parola” che tanto ha parlato e tanto ha scritto, ora non riesce piu’ né a parlare né a scrivere, ma è sereno e fa capire bene il suo pensiero: è in attesa di incontrare Colui che ha desiderato per tutta la vita.</i></div>
<div class="MsoNormal" style="background-color: white; color: #222222; font-family: arial, sans-serif; font-size: 13px;">
<i>A differenza del Papa Giovanni Paolo II che quando non riusciva a parlare per la sua avanzata malattia si indispettiva, Martini è dolcemente rassegnato.</i></div>
<div class="MsoNormal" style="background-color: white; color: #222222; font-family: arial, sans-serif; font-size: 13px;">
<i>Ha chiesto che celebrassi la Messa a cui lui ha concelebrato. Ha voluto la predica dopo il Vangelo, io ero molto emozionato di dover predicare davanti a lui. Alla Consacrazione si è fatto sorreggere per stare in piedi. Alla fine ci ha benedetti e ha fatto capire di portare la benedizione ai fedeli</i>”.</div>
<a name='more'></a><br />
<div class="MsoNormal" style="background-color: white; color: #222222; font-family: arial, sans-serif; font-size: 13px;">
Sono contento che attraverso questo servizio che compio periodicamente Vi arrivi la benedizione di un Sant’uomo. Sto leggendo il suo libro “Rischiare e giocarsi” in cui sono state raccolte delle conferenze che lui aveva rivolto ai seminaristi e ai giovani sacerdoti.</div>
<div class="MsoNormal" style="background-color: white; color: #222222; font-family: arial, sans-serif; font-size: 13px;">
Queste pagine mi arrecano un beneficio spirituale che non avrei immaginato, ancora una volta ringrazio il Signore per aver dato alla Chiesa di Milano questo grande Arcivescovo.</div>
<div class="MsoNormal" style="background-color: white; color: #222222; font-family: arial, sans-serif; font-size: 13px;">
Allego la foto che don Romano mi ha inviato qualche settimana fa, quando era andato anche lui dal Cardinale e mi aveva pregato di diffonderla.</div>
<div class="MsoNormal" style="background-color: white; color: #222222; font-family: arial, sans-serif; font-size: 13px;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="background-color: white; color: #222222; font-family: arial, sans-serif; font-size: 13px;">
Un’Ave Maria…insieme al card.Martini. A presto <b>don Luigi Milani</b><br />
<br />
Nella foto, insieme al card. Martini ci sono vari preti del seminario di Venegono. In piedi: don Francesco Scanziani e don Ennio Apeciti; accosciati: don Aristide Fumagalli, don Virginio Pontiggia e don Romano Martinelli</div>
donambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-37018536516971373482012-08-10T10:48:00.000+02:002012-08-10T10:48:00.605+02:00Martini sulla collegialità nella Chiesa<b>La collegialità episcopale è un principio di fede</b>, cioè della coscienza credente: tra le sue forme pratiche di attuazione spiccano il <i>Sinodo dei Vescovi</i> e le <i>Conferenze Episcopali.</i><br />
Evidentemente la collegialità episcopale è più originaria e più vasta di ogni sua istituzionalizzazione pratica; tuttavia anche queste sono da ricercare e non si possono sottovalutare perché in esse si realizza, diventando effettiva, oltre che affettiva, la collegialità episcopale.<br />
(...)<br />
Siamo sicuri di interpretare l'<i>intentio profundio</i>r del Concilio, che ha proposto la collegialità episcopale come un fondamentale adempimento per la Chiesa d'oggi.<br />
<br />
Da un intervento del 1992donambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-55497799637600997152012-04-05T09:20:00.000+02:002012-08-09T22:55:55.272+02:00I fondamenti della nostra comunione: Omelia nella Messa crismale del Giovedì Santo 2002<br />
Milano, 28 marzo 2002<br />
<br />
Mi lascio ispirare per questa omelia da quanto diceva il card. Giovanni Colombo -di cui ricordiamo quest'anno il centenario della nascita e il decennio della morte - nell'omelia della Messa Crismale del 1979, dal titolo "Verifica di comunione": "Celebrare la messa crismale comporta per il presbiterio e per il popolo di Dio il proposito di verificare la realtà vissuta della nostra comunione: se tutti camminiamo con lo stesso passo, se la giusta libertà dei figli di Dio non venga in noi insidiata da principi di anarchia e di aberranza…" E aggiungeva: "E' giusto - nella luce di questa revisione di vita - ravvivare la gioia della comunione fra noi; comunione che già c'è, ampia e salda, di una saldezza e di un'ampiezza che molte Chiese ci riconoscono. È giusto anche ringraziarne il Padre celeste " (Voce e storia della Chiesa ambrosiana, 3, 1983, p. 90).<br />
Desidero anch'io ringraziare Dio per questa comunione, soprattutto per l'intenso cammino fatto a partire dalla messa crismale di due anni fa con l'iniziativa "Li mandò a due a due", che troverà oggi un momento culminante nella consegna da parte di ogni decanato della carta di comunione di intenti. Anche l'ultimo Consiglio presbiterale del 4-5 marzo scorso sullo stato della Diocesi e le caratteristiche di un nuovo pastore ha espresso la volontà di proseguire un cammino di comunione per divenire sempre più un presbiterio. <br />
Io vorrei in questo omelia riflettere ulteriormente sui fondamenti di questa comunione, lasciandomi ispirare da un'altra parola del mio venerato predecessore, che scriveva nel 1965: " Se il Vaticano II non avesse dato altro frutto che la Costituzione De Sacra Liturgia, questo da solo basterebbe a renderlo immortale nella storia della Chiesa, vale a dire nella drammatica storia della salvezza delle anime " (Voce e storia…, 2, 1976, p.34). <br />
<br />
<a name='more'></a><br />
<br />
Lo stimolo prossimo a verificare la radice della nostra comunione alla luce della costituzione Sacrosanctum Concilium mi viene anche dalla memoria che faremo quest'anno del quarantesimo dall'inizio del Vaticano II, che cominciò nell'ottobre del 1962 proprio con la riflessione sulla liturgia. Esso ebbe il suo primo frutto proprio nella predetta Costituzione , che fu conclusa nel cuore dei lavori del concilio stesso, il 4 dicembre 1963. Mi stimola anche una lunga riflessione che nel 1965, poche settimane dopo la fine del Concilio a cui aveva intensamente partecipato, don Giuseppe Dossetti proponeva alla sua comunità sulla Costituzione liturgica, considerandola come chiave ermeneutica dell'intero processo conciliare. Queste pagine, rimaste finora inedite e pubblicate solo in questi giorni, portano ancora tutta la forza profetica di questo grande servitore della Chiesa e della società.<br />
<br />
<br />
Ma vorrei anche accennare a quei motivi particolari che rendono particolarmente ricco di emozioni questo momento di rilettura dei fondamenti della nostra comunione di presbiterio. Si tratta infatti probabilmente dell'ultima messa crismale che celebro con voi come vostro Arcivescovo. E in questo momento sento non solo una immensa gratitudine per tutti voi, a cominciare dai miei più stretti collaboratori, per i tanti segni di comunione ricevuti in questi anni, ma sento la presenza spirituale in mezzo a noi anche di tutti i preti malati che sto visitando in questi ultimi mesi e dei quali con ammirazione e commozione contemplo la grande dignità e lo spirito di fede con cui vivono difficili prove di salute e pesanti sofferenze. Penso anche a tutti i sacerdoti defunti in questi anni, in particolare quelli dei quali mi è stato dato di essere testimone di come negli ultimi momenti della vita si riassuma un'esistenza tutta offerta al Signore e alla Chiesa e purificata dalla prova.<br />
<br />
Vorrei dunque interrogarmi sui fondamenti della nostra comunione, così da dare compimento e continuità anche per il futuro al cammino iniziato 22 anni fa, proprio con i ritiri quaresimali del 1980 al clero nelle diverse zone, che avevano come tema "la nostra coscienza presbiterale".<br />
Si potrebbero menzionare molte ragioni attuali che ci stimolano a vivere profondamente la fraternità tra noi e a porci come un blocco ben compatto nella proclamazione della fede e nel servizio della Chiesa. <br />
E' necessario oggi infatti fare, per così dire, barriera e stabilire un argine di fede contro il secolarismo e la frammentazione della vita. Urge una testimonianza unanime e coraggiosa di fronte alla dispersione e alla confusione delle opinioni nel nostro tempo.<br />
Sentiamo inoltre l'importanza di sostenerci a vicenda nella perseveranza in una vocazione ardua ed esigente quale quella del presbitero e del diacono oggi. Per questo crescono le esigenze di rafforzare i legami e le occasioni di vita comune, di prevedere una breve ma incisiva regola di vita per ogni decanato, verificando le occasioni di incontro, di comunicazione nella fede e di preghiera condivisa. In particolare la difficoltà di vivere il celibato in una società che indulge ad ogni tipo di libertà sessuale suggerisce un maggior impegno della vita fraterna e anche nella coltivazione di una sana amicizia tra noi, per sostenerci a vicenda nella testimonianza della bellezza di una consacrazione totale a Cristo e del dono di sé indiviso alla Chiesa e ai fratelli. <br />
Un'ulteriore ragione di stringere i legami tra noi la potremo anche cogliere nel confronto con altre religioni, in particolare l'Islam, che ci dà un esempio di compattezza che s'impone all'opinione pubblica e appare come posizione forte in un mondo debole e fiacco. Ma tutti questi rimangono ancora motivi esteriori rispetto al mistero della nostra comunione presbiterale. Se ci affidassimo soltanto ad essi non faremmo un'azione lungimirante e duratura. Siamo dunque invitati a riflettere sulla radice profonda della nostra comunione che troviamo in quel mistero che celebriamo in questi giorni, in questo "oggi" richiamato dalla terza lettura, cioè nel mistero pasquale, nella morte e risurrezione di Gesù rivissuta dalla Chiesa nello Spirito santo, in particolare nell'assemblea liturgica e su ciò che da essa deriva e ad essa riconduce.<br />
Rileggendo la costituzione del concilio Vaticano II sulla liturgia noi troviamo che esso è tutta centrata in una maniera molto diretta, molto esplicita, molto formale e senza dubbio rigorosamente coerente, sul concetto che il contenuto fondamentale dell'annunzio e dell'attualità della vita cristiana è il mistero pasquale; cioè non solo genericamente il mistero di Cristo, ma peculiarmente il mistero della morte, della risurrezione della glorificazione del Signore Gesù. <br />
Questo mistero è non solo annunziato ma è reso attuale nel mistero liturgico. In particolare l'assemblea eucaristica, la Chiesa riunita per la celebrazione dell'Eucaristia, cioè per la celebrazione del mistero pasquale, è veramente la Chiesa simpliciter, la Chiesa nel suo atto più puro, più completo; è la Chiesa che ricapitola tutti gli altri elementi, tutte le altre finalità, tutte le altre sue funzioni e attività in quell'atto, e da quell'atto trae il suo essere più profondo e anche il modello più tipico e più caratterizzante della sua stessa struttura.<br />
Sicché il fondamento, la radice anche di tutta la struttura della Chiesa, e perciò il punto di riferimento a cui occorre risalire per potere, in una maniera univoca ed omogenea, affrontare gli stessi problemi istituzionali e strutturali della Chiesa, è precisamente l'assemblea liturgica. In essa la Chiesa si realizza nel suo atto più completo e perfetto in terra, l'atto che precede, per così dire, che giunge quasi al limite dell'atto eterno, e quindi tale assemblea è il modello, l'archetipo che possiamo avere presente della realtà più profonda della Chiesa e perciò anche delle linee fondamentali della sua struttura. <br />
Questo non vuol dire che nell'assemblea eucaristica, come dice chiarissimamente la costituzione, venga riassunta materialmente tutta quella che è l'attività della Chiesa; ci sono degli atti prodromici e ci sono degli atti successivi, ci sono delle premesse e ci sono degli effetti. Ma mentre gli atti prodromici sono tutti orientati all'assemblea eucaristica e trovano in questa la loro giustificazione, il loro senso, la loro manifestazione e la loro espressione più attuale, così gli atti successivi, cioè gli effetti, sono in qualche modo già contenuti in essa e sono destinati ad essere di nuovo, per una specie di circolarità, che potremmo chiamare proprio la circolarità dell'eucaristia, ricapitolati nell'assemblea eucaristica stessa (G. Dossetti, Per una "Chiesa eucaristica", 2002, p.69-70).<br />
Ho trascritto questa lunga citazione dalla conversazione sopra ricordata di don Giuseppe Dossetti perché mi sembra che in essa si esprimano con forza e incisività alcuni temi nodali della costituzione sulla sacra liturgia, da cui è possibile ricavare alcune conseguenze che qui anzitutto enuncio in maniera sintetica.<br />
1. La nostra comunione presbiterale è radicata nel mistero pasquale, al quale veniamo associati in maniera particolare non solo mediante il battesimo, nel quale "morti e risuscitati con Gesù, riceviamo lo spirito di figli adottivi che ci fa esclamare: Abba, Padre" (SC n. 6); ma anche mediante l'imposizione delle mani del vescovo, per cui diventiamo partecipi del "ministero di Cristo Maestro, Sacerdote e Re, per il quale la Chiesa qui in terra è incessantemente edificata in Popolo di Dio, Corpo di Cristo e tempio dello Spirito santo" (PO n. 1). La nostra comunione nel mistero pasquale ha il suo fine nella lode a Dio da parte di tutta l'assemblea liturgica in comunione con la preghiera e l'offerta che Gesù "consacrato con l'unzione" (cfr. prima e terza lettura di oggi) fa della sua vita per il mondo. E' penetrando sempre più a fondo in questo mistero che noi consolidiamo la nostra comunione di presbiterio.<br />
2. L'insistenza di questi anni sul primato della Parola va letta in relazione a questa visione di Chiesa eucaristica, chiamata a divenire una cosa sola nel mistero di Cristo morto e risorto, annunziato e proclamato dalle Scritture. Se ho ritenuto e ritengo che in questa epoca della storia si debba porre una particolare attenzione alla lettura e meditazione delle Scritture è dunque nel senso inteso da Gesù quando sgombrava il cuore dei discepoli di Emmaus dalla tristezza e dalla poca fede preparandoli, con la proclamazione di quanto nelle Scritture era detto su di lui, a riconoscerlo nella frazione del pane per poi annunciare ai fratelli la vittoria della vita sulla morte.<br />
3. Anche l'insistenza sulla dimensione contemplativa e la preghiera personale (di cui è espressione privilegiata la lectio divina) va compresa in questo slancio verso una comunione e identificazione con Gesù e con la sua figliolanza divina, comunione che si esprime a partire dal battesimo e che ha il suo culmine nell'assemblea eucaristica.<br />
4. Ogni nostra preghiera e lettura orante della Scrittura è dunque fatta in Cristo, affidandosi a lui che prega e loda il Padre in noi e lasciandoci invadere dal suo Spirito. La nostra debolezza e difficoltà nel pregare (che non va banalizzata, cfr. Rom 8,26) è perciò sostenuta è sorretta dalla preghiera liturgica e le due realtà (preghiera personale e preghiera liturgica) si collegano e si rafforzano a vicenda .<br />
5. Tutte le altre azioni della Chiesa, come la catechesi, la testimonianza, la missione, le varie forme di diaconia, la vicinanza e la condivisione con i poveri, come pure i problemi della disciplina ecclesiale e dei rapporti istituzionali all'interno della Chiesa, ricevono da questa visione il loro giusto posto, la loro misura e i criteri della loro verifica.<br />
6. Nell'assemblea liturgica si riassume dunque il senso e - come direbbe il Manzoni - il "sugo" della storia umana e vengono riscattate le vicende dei più poveri e dei senza storia.<br />
7. Tutto ciò ha il suo culmine della liturgia della Gerusalemme celeste, dove il senso ultimo e la sintesi organica di tutti questi elementi ci sarà rivelato nella pienezza della gloria dei figli di Dio, che è la meta ultima e il criterio definitivo di ogni nostro agire nella storia, agire che da questo fine riceve luce, misura e forza.<br />
Riprendo ora brevemente questi punti alla luce della Sacrosanctum Concilium.<br />
1. L'assemblea eucaristica in atto è dunque la chiave interpretativa di tutto il mistero della Chiesa e perciò anche la radice ultima della nostra comunione in quanto presbiteri. Come dice la costituzione sulla divina liturgia "in quest'opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all'Eterno Padre" (n. 7). È qui che noi troviamo la chiave per intuire la vera natura della nostra comunione presbiterale: l'essere in modo speciale e attivo associati a Gesù Cristo per rendere in Lui, con Lui e per Lui culto a Dio. La lode di Dio, anticipo della lode eterna, è lo scopo di tutto l'essere della Chiesa ed è ciò che da forza, unità e gioia al nostro stare insieme.<br />
2. Un'attenta lettura della Sacrosanctum Concilium mostra come non v'è contraddizione ma consonanza profonda tra l'importanza data all'ascolto e alla meditazione della Parola di Dio e la centralità della liturgia. "Massima infatti - dice il Concilio (SC n. 24) - è l'importanza della Sacra Scrittura nelle celebrazioni liturgiche... perciò è necessario che venga favorita quella soave e viva conoscenza della Sacra Scrittura che è attestata dalla venerabile tradizione dei riti sia orientali che occidentali". Parola e liturgia sono messe in stretta correlazione fin dal principio della costituzione conciliare. Essa dice infatti (n. 6): "Come Cristo fu mandato dal Padre, così anche egli mandò gli apostoli, pieni di Spirito santo, non solo perché annunziassero, con la predicazione del Vangelo a tutte le creature, che il figlio di Dio con la sua morte risurrezione ci aveva liberati dal potere di Satana e dalla morte, trasferendoci nel regno del Padre, ma anche perché attuassero, per mezzo del Sacrificio e dei Sacramenti, sui quali s'impernia tutta la vita liturgica, quella stessa opera di salvezza che annunciavano". <br />
Per questo la proclamazione della Parola rimane parte fondamentale dell'assemblea liturgica, e affinché questa parola sia compresa e gustata durante il rito è necessario non solo che essa sia brevemente spiegata nell'omelia ma anche che essa sia approfondita attraverso la lettura, lo studio e la preghiera.<br />
3. E' qui che si aggancia anche quella necessità della dimensione contemplativa e dell'orazione personale di cui ci parla la stessa costituzione liturgica. Essa dice infatti (12) che "la vita spirituale …non si esaurisce nella partecipazione alla sola Liturgia. Il cristiano, infatti, benché chiamato alla preghiera in comune, è sempre tenuto a entrare nella sua stanza per pregare il Padre nel segreto; anzi, secondo l'insegnamento dell'Apostolo, è tenuto a pregare incessantemente". <br />
<br />
I due ritmi fondamentali della preghiera cristiana, personale e liturgica, sono dunque ben presenti al Concilio. Questa necessità anzi della preghiera personale, segreta, che si svolge sotto lo sguardo del Padre, è da intendersi come una preparazione per una piena partecipazione alla vocazione fondamentale di tutti alla preghiera comune e anche come una conseguenza e un effetto della medesima liturgia che si tradurrà poi nel sacrificio vivente di sé nella vita quotidiana. Continua infatti il Concilio: "Il medesimo Apostolo poi ci insegna a portare continuamente nel nostro corpo i patimenti di Gesù morente, affinché la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. E' per questo che nel sacrificio della messa preghiamo il Signore, che "accettando l'offerta del sacrificio spirituale" faccia "di noi stessi un'offerta eterna" (n. 12). <br />
È importante dunque vedere la lettura della Scrittura e la preghiera personale sia come una preparazione che come un prolungamento della preghiera liturgica nella vita di ciascuno, che sfocia nel dono di sé.<br />
4. Ho detto sopra che non bisogna banalizzare la difficoltà della preghiera per comprendere il sostegno che ad essa dà la preghiera liturgica. Vorrei a questo proposito citare un po' più a lungo l'autore già menzionato, che è stato anche un grande maestro di preghiera. Egli afferma che "tutti sappiamo e sperimentiamo che la preghiera è un impegno durissimo. <br />
È inutile dire che la preghiera è una cosa bella, gioiosa, facile, entusiasmante perché non è vero, non è assolutamente vero. È tanto poco vero che quelli che pregano sono pochissimi e che pregano poco anche quando dovrebbero pregare...Tutti coloro che hanno un pochino tentato sanno che è cosa molto difficile, che bisogna pagarla cara, che bisogna pagarla con una grande purificazione, con un grande sforzo e poi che -anche quando si è pagato tutto questo- non si è pagato niente perché Lui la dà o non la dà secondo chi gli piace, e magari la dà quando non si paga niente e non la dà quando si paga molto, Lui è fatto così. Dato questo, non dobbiamo raccontare alla gente che la preghiera è facile, che ci sono modi facili di preghiera; i modi facili di preghiera non esistono, possono esistere dei momenti facilitati in maniera eccezionale da una bontà divina che ci vuole un tantino allettare, però normalmente non è così. Se fosse così le chiese sarebbero piene, la gente non farebbe altro che stare con la testa fra le mani e non si occuperebbe di mille altre cose. E, per contro, Lui ci ha detto che bisogna pregare sempre. La Parola di Dio e la liturgia, che è la sua proclamazione e ricezione dell'assemblea, è normalmente la stampella più naturale e più ovvia, predisposta dalla provvidenza divina alla nostra debolezza. Quindi dobbiamo rigenerare la fiducia nella liturgia…Sia per i principianti, per i quali la preghiera liturgica è la stampella più naturale, più ovvia e più consentanea al piano di Dio, sia per coloro che credono di avere già una vita interiore avanzata e molto personalizzata, la liturgia rettamente intesa è il trampolino di lancio anche per la contemplazione più alta…La preghiera sarà sempre un grande sforzo e un grande sacrificio, ma proporzionato alle forze dell'uomo nell'esperienza cristiana. Il Signore ha predisposto dei mezzi perché la gente preghi e noi non dobbiamo privarli di questi mezzi, anzi dobbiamo renderli consapevoli che questi mezzi facilitano di molto la preghiera pur essendo sempre mezzi che poi richiedono all'ultimo momento uno sforzo, un'opzione, un buttare il cuore al di là delle linee senza di che non si incontra nessuno " (Dossetti, pag. 71-72). Personalmente vorrei riassumere questo testo così incisivo in una sola frase: lasciar pregare Gesù in noi, come ci insegna la liturgia, è il modo più sicuro per confortarci e convincerci che, malgrado tutto, possiamo sempre pregare.<br />
<br />
5. Tutto ciò che fa la Chiesa nella storia, tutto il complesso del suo agire per essere sale della terra e luce del mondo, ha il suo centro e il suo riferimento nell'assemblea liturgica. Anche ogni autorità nella Chiesa, lungi dalle eccessive preoccupazioni istituzionali, trova il suo fondamento nell'attuazione del mistero pasquale. <br />
Ed è di qui che dovrebbe partire anche l'approfondimento del carattere episcopale di ogni liturgia, secondo quanto dice il Vaticano II indicando che il vescovo dev'essere ritenuto come colui dal quale "deriva e dipende in certo senso la vita dei suoi fedeli in Cristo". E il Concilio continua dicendo che per questa ragione "tutti devono dare la più grande importanza alla vita liturgica della Diocesi che si svolge attorno al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale" nell'intima persuasione che la maggiore manifestazione della Chiesa si ha appunto quando l'intero popolo santo di Dio si raccoglie nella partecipazione piena e attiva alle medesime celebrazioni liturgiche, "soprattutto alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondata dai suoi sacerdoti e ministri" (SC n. 41). <br />
Di qui anche l'importanza della vita liturgica della parrocchia e del suo legame con il Vescovo, che devono essere coltivati nell'animo e nella pratica tanto dei fedeli che del clero. "Bisogna (quindi) fare in modo che il senso della comunità parrocchiale fiorisca soprattutto nella celebrazione comunitaria della messa domenicale" (SC n. 42).<br />
<br />
6. Nell'assemblea liturgica si riassume tutto il senso della nostra vita e anche il significato della storia del mondo. Di quella storia che ha il suo senso nella vittoria sulla morte e diviene perciò la storia vera degli umili, dei piccoli dei poveri, anche di coloro che non hanno creatività o sono impediti nell'esplicitarla, che sono la maggior parte degli uomini, di tutti coloro che sono apparentemente "senza storia" (cfr Dossetti p.133). È questo ciò che ci permette di partecipare, dalla parte della vita e della dignità della persona umana, a quella lotta della vita contro la morte, della giustizia contro il sopruso e le disuguaglianze, del perdono contro la violenza che è il senso stesso della storia di salvezza. E' qui che troviamo la forza per "fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri…per consolare tutti gli afflitti, per allietare gli afflitti di Sion" (cfr prima e terza lettura). <br />
Per questo la SC al n. 9, ricordando che la sacra Liturgia non esaurisce tutta l'azione della Chiesa, sottolinea che essa deve tra le molteplici sue attività "insegnare ad osservare tutto ciò che Cristo ha comandato ed incitare a tutte le opere di carità, di pietà e di apostolato, attraverso le quali si rende manifesto che i seguaci di Cristo, pur non essendo di questo mondo, sono tuttavia la luce del mondo e rendono gloria al Padre dinanzi agli uomini". <br />
Perciò, pur essendo "la Liturgia il culmine verso cui tende tutta l'azione della Chiesa e la fonte da cui promana tutta la sua virtù…a sua volta, la Liturgia spinge i fedeli, nutriti dei 'sacramenti pasquali', a vivere 'in perfetta unione' e domanda che 'esprimano nella vita quanto hanno ricevuto nella fede'" e che vengano accesi dalla "pressante carità di Cristo". Di qui ne deriva "quella santificazione degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo, verso la quale convergono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa" (SC n. 10).<br />
<br />
7. Abbiamo dunque cercato di cogliere il fondamento della nostra unità non tanto nella contingenza presente né nelle difficoltà esterne che dobbiamo affrontare, ma nell'intima radice del nostro sacerdozio che si manifesta e si attualizza in questa stessa assemblea liturgica.<br />
<br />
Tutto ciò, e quindi anche la nostra comunione presbiterale che oggi chiediamo a Dio di consolidare e proteggere, ha il suo culmine e il suo riferimento ultimo nella Gerusalemme celeste. Dice infatti ancora il Vaticano II: "Nella liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste, che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario del vero tabernacolo; insieme con tutte le schiere delle milizie celesti cantiamo Signore l'inno di gloria; ricordando con venerazione i santi, speriamo di ottenere un posto con essi, e aspettiamo, quale Salvatore, il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, nostra vita, e noi appariremo con lui nella gloria " (SC n.8). <br />
Fino a quel momento e guardando a quel momento la nostra comunione nella fede, nei sacramenti, nella preghiera, nel servizio pastorale e nell'amicizia fraterna sarà il sostegno e il conforto della nostra perseveranza. <br />
<br />donambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-79306538518825608342012-03-07T13:04:00.000+01:002012-03-07T13:04:30.290+01:00Silenzio: tendere l'orecchio per percepire qualcosa della voce del PadreTra le molte cose che si possono dire sulla maniera in cui è vissuta oggi la dimensione contemplativa dell’esistenza, viene in mente la disabitudine alla pratica della preghiera e alle pause contemplative. In questo la nostra civiltà occidentale si distingue nettamente dalle civiltà dell’Oriente, dove sono in onore la pratica e le tecniche contemplative e il gusto per la riflessione profonda. <br />
Forse la gente prega e riflette più di quanto non sappia o non dica. Si tratta di aiutarla a dare un nome più preciso, un indirizzo più costante, a certe impennate del cuore che, più o meno intensamente, sono presenti nella storia di ognuno. L’esodo massiccio dalle città nei periodi di vacanza e nei fine settimana esprime in fondo anche questo desiderio di ritorno alle radici contemplative della vita. <br />
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Lo sfondo generale lo dà la cultura occidentale attuale, che ha un indirizzo tutto teso al «fare», al «produrre», ma che genera per contraccolpo un bisogno di silenzio, di ascolto, di respiro contemplativo. Sia l’attivismo frenetico sia certe maniere di intendere la contemplazione possono rappresentare una «fuga» dal reale. Per far evolvere questa situazione non basterà risvegliare una ricerca di preghiera, occorrerà anche purificare, orientare certe forme scorrette o insufficienti di ricerca. In particolare occorrerà evitare le contrapposizioni tra azione, lotta e rivoluzione da un lato, e contemplazione, silenzio e passività dall’altro. Bisognerà dare uno specifico orientamento sia all’azione sia alla contemplazione. (...) Va tenuto presente anzitutto il tono esasperato che assumono le contraddizioni della civiltà industriale. Questo rende ancor più stimolante e profetico il compito di elaborare modelli e forme di preghiera contemplativa per l’uomo d’oggi. Si può ricordare la crisi di certi adulti che, sparite certe forme tradizionali di preghiera legate al ritmo pre-industriale, faticano a trovare nuove forme. Si può ricordare la consolante richiesta di silenzio contemplativo da parte di certi giovani. E la confluenza di più civiltà nella trama internazionale della nostra società. Il confronto con le forme di preghiera provenienti soprattutto dall’Oriente può diventare uno stimolo per una più rigorosa scoperta degli originali valori della preghiera cristiana, sullo sfondo di un dialogo e di un reciproco arricchimento con altre tradizioni. La proposta di riflettere sulla dimensione contemplativa della vita intende provocare il recupero di alcune certezze che hanno patito qualche scolorimento e qualche eclissi: l’importanza del silenzio, il primato dell’essere sull’avere, sul dire, sul fare, il giusto rapporto persona-comunità. Mi pare venuto il momento di ricordare che l’abitudine alla contemplazione e al silenzio feconda e arricchisce, che non si ha azione o impegno che non sgorghi dalla verità dell’essere profondo. L’uomo «nuovo» – cui la fede ha dato un occhio penetrante che vede oltre la scena e la carità, un cuore capace di amare l’Invisibile – sa che il vuoto non c’è e il niente è eternamente vinto dalla divina Infinità. Sa che l’Universo è popolato da creature gioiose, e di essere spettatore e già in qualche modo partecipe dell’esultanza cosmica, riverberata dal mistero di luce, amore, felicità del Dio Trino. Perciò l’uomo nuovo, come il Signore Gesù che all’alba saliva solitario sulle cime dei monti, aspira ad avere per sé qualche spazio immune da ogni frastuono alienante, dove sia possibile tendere l’orecchio e percepire qualcosa della festa eterna e della voce del Padre.<br />
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Carlo Maria Martini in “Avvenire” del 6 marzo 2012donambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-49581809079479030502012-03-01T11:00:00.000+01:002012-03-01T11:00:02.685+01:00Penetrare nel mistero del "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"Tutto il racconto della passione è pieno di enigmi, di oscurità; è come un cielo in tempesta, con tuoni, lampi, fulmini che spaventano. Ma la parola per me più drammatica è quella che conclude il racconto evangelico, quando Gesù grida con vece forte: "<i>Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?</i>" (Mc 15,34). Ogni volta che la risentiamo, siamo presi da un brivido, perché, tolta dal contesto, potrebbe sembrare l'invocazione di un disperato, di uno che ha perso la fede, che è stato travolto dalle vicende avverse.<br />
Eppure è proprio ascoltando questa parola che il centurione esclama: "<i>Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!</i>". Ovviamente l'evangelista legge in quel grido di Gesù la fedeltà di Dio.<br />
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Cercando allora di penetrare nel mistero del "<i>Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?</i>", vorrei far notare che dal capitolo 14 di Marco, Gesù parla gradatamente sempre meno. Il Gesù della Galilea, dei grandi discorsi, del Discorso della montagna, del discorso missionario, il Gesù delle lunghe dispute con i Giudei che ci è presentato soprattutto da Giovanni, dei detti pungenti, dopo il Getsemani entra a poco a poco nel più profondo silenzio. Una delle ultime parole da lui pronunciate è quella con cui si rivolge a coloro che sono venuti per prenderlo: "<i>Si adempiano dunque le Scritture!</i>" (Mc 14,49). Darà ancora solo brevissime risposte alle domande che gli vengono poste.<br />
Si ha così l'impressione che Gesù si chiuda in se stesso, quasi come stupito, sconvolto dal diluvio di calunni, di malvagità, di interpretazioni perverse, di crudeltà che si scatenano contro di lui. È come se si chiudesse in se stesso per accogliere questo mistero di iniquità e per macerarlo dentro di sé per l'umanità.<br />
È dopo il lungo silenzio di fronte agli accusatori di ogni tipo, di fronte ai maltrattamenti e alle ingiustizie che Gesù, nel momento della morte, esce con il grido: " Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". È la parola di qualcuno che, avendo interiorizzato tute le delusioni, le amarezze e i dolori del mondo, avendo sentito cadere sulla sua persona tutto il mistero della sofferenza e avendo cercato una ragione, un senso per questo terribile mistero, trova finalmente nelle Scritture la parola-chiave, il versetto che interpreta il suo vissuto, il salmo che spiega tutto: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".<br />
Anche se in apparenza ogni cosa si rivolge contro di me e sono come abbandonato da Dio, questo era già scritto, è parte del mistero di Dio, delle Scritture, e dunque non può non manifestare quell'amore misericordioso del Padre che nelle Scritture è stato rivelato.<br />
Mi sembra così di leggere in questa parola il grido di colui che, proprio al limite della più nera disperazione, ha trovato il significato di quanto sta vivendo nelle Scritture e nella volontà del Padre, volontà di amore e di salvezza.<br />
Le Scritture permettono di comprendere il significato di tutti gli eventi straordinari che sono accaduti in questa terra, di quelli che devono accadere e che accadranno nel mondo. Perché il mistero che Gesù ha compiuto in se stesso e nel quale ha letto la volontà del Padre è lo stesso mistero che noi possiamo leggere e interpretare nella realtà di ogni giorno, nella realtà personale, ecclesiale, civile, sociale, politica.<br />
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Carlo Maria Martini, Verso Gerusalemme, pag. 36-37donambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-78676906350468234782012-02-18T14:51:00.001+01:002012-02-20T09:14:41.441+01:00L'esercizio dell'autorità del Vescovo: rischi e suggerimenti secondo il card. MartiniNel suo recente libro su "Il vescovo" il card. Carlo Maria Martini prende in considerazione il delicato tema dell'autorità della chiesa. Presento due cammei intriganti con le due facce opposte dell'autorità: quella rigida e incapace di ascoltare e quella ispirata alla Parola di Dio e alla considerazione della persona umana. <br />
<br />
Alcuni difetti portano grande danno al servizio del vescovo: l'autoritarismo e la rigidità. Autoritario è quel vescovo che in nessun caso ammette il dialogo né ascolta i suoi consiglieri, ma fa tutto quello che gli viene in mente non accettando nessun consiglio (pur magari vendono chiesto). In tal modo rompe i legami che già si erano creati con il suo successore e si sente non solo vescovo, ma papà e re della sua diocesi. Se poi è di temperamento collerico, allora non risparmia nessuno con le sue esternazioni. (35-36)<br />
<br />
Il governare nella Chiesa va esercitato su uomini liberi, che sono però capaci di lasciarsi ispirare dall'amore. Una tale autorità non comprime le coscienze ma le fa crescere facendole conformare al modello della Trinità. <br />
È a questo punto che mi sentirei di menzionare brevemente alcune caratteristiche dell'uso dell'autorità nella chiesa che mi sembrano particolarmente importanti per il nostro tempo. Indicherei le tre seguenti: il rispetto della persona, della sua autonomia e della sua intelligenza. A questo proposito sono sempre meno coloro che accettano di lasciarsi gare ciecamente dalla pura autorità, anche se non mancano rigurgiti di fondamentalismo fanatico. Mi pare però che venga d ai numero sempre crescente di persone, anche nel cristianesimo, il desiderio di capire, di comprendere, le ragioni di quanto chiede l'autorità.<br />
L'attenzione alla singolarità della persona, alla sua irripetibilità e incomparabilità e alla sua debolezza, hanno effetti molto più duraturi anche davanti a richieste esigenti. Molti hanno bisogno di essere capiti e amati prima di essere guidati con comandi e precetti. Nel contempo si sente oggi un grande bisogno di sicurezza, di appoggio e di forza ispiratrice. Per questo mi pare che la Parola di Dio ispirata e ispirante abbia un grande rilievo nell'odierno esercizio dell'autorità nella chiesa. (49-50)donambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7931158002522748912.post-3738989622653506882012-02-16T22:36:00.001+01:002012-02-16T22:36:30.370+01:00Mutui rapporti tra i vescovi e i religiosi, con postilla sui movimentiSorprende per realismo e schiettezza l'ultimo libro scritto dal Card. Carlo Maria Martini ("il vescovo", pp. 71-73, Rosemberg & Seller, dicembre 2011).<br />
Riporto come esempio tre ficcanti pensieri a proposito delle congregazioni religiose. Il primo di essi amplia la notazione critica anche ai movimenti laicali cattolici. <br />
<br />
"Si tratta di relazioni mutue, che quindi richiedono disponibilità da ambo le parti. E ciò anzitutto perché i religiosi, in particolare gli ordini religiosi e le congregazioni maschili, si sentono giuridicamente "esenti" dall'autorità del vescovo e quindi in grado di lanciare iniziative che possono collidere con il programma pastorale della diocesi. (...) <br />
Lo stesso si deve dire anche dei movimenti, con la differenza che spesso i religiosi sono più obbedienti mentre i movimenti sfuggono a un rapporto speciale col vescovo. I movimenti, a cui accenno qui brevemente, sono per lo più un falso nome che viene dato a gruppi organizzati sotto una autorità molto esigente e quasi dispotica. <br />
...<br />
Come seconda cosa direi che tutti i religiosi, pur con le diversità che li caratterizzano, sono chiamati alla testimonianza del Vangelo della misericordia. È ciò che li qualifica come veri religiosi, non un imputazione puramente esteriore di un titolo o di un abito. Ne segue che non tutti coloro che si fanno chiamare religiosi sono veramente tali. Ricordo che la prima volta che incontrai (da vescovo n.d.r.) la rappresentanza dei religiosi, tutti gli interventi furono su questioni i rivendicazioni canoniche e su problemi giuridici. Alla fine dissi: "Dal vostro parlare non ho recepito niente di ciò che costituisce la sostanza della vita consacrata". <br />
<br />
Terzo: non bisogna pensare che la pastorale diocesana parta solo dalla curia. Ogni iniziativa che abbia l'approvazione del vescovo è "diocesana". Il vescovo e il vicario generale devono avere una visione di Chiesa ampia e capace di integrare tutti". donambrohttp://www.blogger.com/profile/14191769415688002047noreply@blogger.com0