San Paolo scrivendo ai Corinti parla di un “assillo quotidiano” che lo ha
accompagnato lungo il suo ministero: “la preoccupazione per tutte le Chiese” (2Cor
11,28). La sollicitudo omnium ecclesiarum è una caratteristica dell’apostolo alla
quale ciascun vescovo si sente chiamato, così da condividere con il Papa l’ansia
dell’evangelizzazione e da saper ascoltare la voce dello Spirito che in ogni Chiesa
suscita vocazioni e carismi per la missione e in particolare per la missione ad gentes.
Già l’appartenenza alla Compagnia di Gesù mi aveva fatto incontrare
l’orizzonte missionario e molti miei compagni di studi furono inviati in regioni
lontane; i racconti dei missionari gesuiti hanno nutrito gli anni della mia formazione e
i primi tempi della mia appartenenza alla Congregazione; come ogni gesuita io stesso
mi ero reso disponibile all’invio missionario se i Superiori me lo avessero richiesto
(si trattava allora in particolare del Giappone).
Anche negli anni dell’insegnamento accademico al Pontifico Istituto Biblico
avevo sperimentato che la Chiesa è “universale”: ho incontrato studenti di tutte le
nazionalità e ho visto molti di loro nominati Vescovi nelle diocesi di origine; altri li
ho ritrovati anni dopo impegnati nelle strutture formative delle giovani Chiese
(Seminari, Centri pastorali, Facoltà teologiche, ecc.); altri ancora hanno portato il
frutto della loro preparazione nel cuore di sfide durissime in situazioni di particolare
violenza o povertà, come per esempio i gesuiti uccisi nel 1989 nell’Università
dell’America Latina a San Salvador.
Durante il ministero episcopale a Milano ho avuto ancora più di prima la grazia
di incontrare l’infinita ricchezza dei doni dello Spirito nell’ambito specifico della
missio ad gentes. Le missionarie e i missionari nativi – preti, religiose e religiosi,
laici – sono più di duemila (un numero pari a quelli dei preti diocesani), presenti in
tutti i paesi del mondo. La maggior parte di essi vive con piena dedizione il servizio
alle giovani Chiese, non raramente in situazioni estreme di povertà, di violenza, di
guerra; alcuni invece sono costretti a riposo dall’avanzare dell’età o dalle malattie;
altri infine svolgono temporaneamente una preziosa opera di animazione missionaria
qui in Italia e vivono, con la soddisfazione per la crescente sensibilità verso i temi
dell’evangelizzazione, anche la preoccupazione per il calo delle vocazioni, che
colpisce pure gli istituti missionari e religiosi.
Con molti missionari e missionarie, anche non milanesi, ho potuto sviluppare
un rapporto diretto grazie alla fittissima corrispondenza che ci siamo sempre
scambiati. Talvolta si sono presentati con richieste di aiuto; ma nella maggior parte
dei casi ciascuno mi proponeva, spesso a partire dalla lettura di qualche mio libro,
una testimonianza personale circa la propria vocazione, il desiderio di fedeltà
evangelica, il drammatico confronto con le miserie di tanti popoli, l’entusiasmo di
stampo giovanile nel perseverare anche dopo anni di lavoro apostolico. Per la
ricchezza della fede, per la passione evangelizzatrice e per la carità testimoniata in
ogni angolo della terra, ho con tutti loro un debito di gratitudine e riconoscenza, che
ogni anno ho cercato di esprimere nell’incontro con i missionari rientrati per le
vacanze.
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