domenica 13 febbraio 2011

Il colloquio penitenziale: confessio laudis, confessio vitae, confessio fidei

Il disagio di fronte al contenuto dell'accusa dei peccati è molto diffuso nella chiesa di oggi. Un disagio che, a mio parere, nasce proprio dalla forma, dall'atmosfera che assume la Confessione. Ovviamente, per quanti intendono il sacramento della penitenza nel modo antico, come una confessione breve, frequente, nella quale si costruisce una serie di piccole pietre miliari che aiutano a essere puruficati dalle colpe quotidiane e a mantenere vivo il senso della gratuità della salvezza, esso ha tuttora un significato precison anzi è una grazia; li invito perciò a continuare così.
Il mio suggerimento vale dunque per coloro che trovano difficile la pratica della confessione regolare, ritenendola faticosa, formale, poco stimolante, addirittura inutule.

A questi propongo il colloquio penitenziale, cioè un dialogo fatto con il sacerdote, nel quale cerco di vivere il momento della riconciliazione in una maniera più ampia rispetto alla confessione breveche elenca semplicemente le mancanze; tale allargamento è previsto, fra l'altro, dal nuovo Ordo Poenitentiae.
Si inizia il colloquio con la lettura di una pagina biblica, con un Salmo, cosí da porsi in un'atmosfera di verità davanti al Signore. Segue quindi un triplice momento: confessio laudis, confessio vitae, confessio fidei.

La confessio laudis risponde alla domanda: dall'ultima confessione, quali sono le cose per cui sento di dover maggiormente ringraziare Dio che mi è stato vicino? Iniziare con il ringraziamento e la lode mette la nostra vita nel giusto quadro ed è molto importante far emergere i doni che il Signore ci ha fatto.

La confessio vitae può partire dalla domanda: dall'ultima confessione, che cosa c'è in me che non vorrei che ci fosse? Che cosa mi pesa? Questo è il momento della confessione dei peccati o delle mancanze precise -la si fa in base allo schema dei dieci comandamenti o delle virtù teologali e cardinali, ecc.-; tuttavia è fondamentale mettere davanti a Dio le situazioni che abbiamo vissuto e che ci pesano (un'antipatia da cui non riusciamo a liberarci e non sappiamo se da parte nostra c'è stata o meno una colpa; una certa fatica nell'amare, nel perdonare, nel servire gli altri).

La confessio fidei, infine, è la preparazione immediata a ricevere il perdono di Dio. È la proclamazione davanti a Lui: "Credo nella tua potenza sulla mia vita".

È necessario cercare di vivere l'esperienza della salvezza come esperienza di fiducia, di gioia, come il momento in cui il Signore entra nella mia esistenza e mi dà la buona notizia.

Carlo Maria Martini, La via di Timoteo.

domenica 6 febbraio 2011

Chi è Timoteo? Profilo di un giovane responsabile di comunità

Timoteo è discepolo fedele e collaboratore dell'Apostolo Paolo; viene scelto per numerose missioni presso le chiese; è coautore di alcune lettere di Paolo e destinatario di due di esse; è formatore di cristiani a partire dalla formazione e dall'esempio di vita del suo maestro: discepoli che, a loro volta, ne educheranno altri.
Timoteo, a differenza di Barnaba e di Marco, non ha mai avuto contrasti con l'Apostolo perché, da quell'uomo devoto che era, si piegava volentieri al carattere non facile del maestro. È importante la virtù di saper collaborare con persone difficili. Si ha anzi l'impressione che Timoteo corregga in qualche modo la durezza di Paolo, che metta pace e infonda calma pur portando il peso di una responsabilità in seconda posizione.
Tuttavia anch'egli ha il suo lato debole: è fragile, avverte la solitudine quando rimane solo, si sente frustrato e indeciso, ed è bello, a mio avviso, specchiarsi nei suoi doni e nei suoi momenti di difficoltà, di prova.

C. M. Martini, La via di Timoteo, p. 12-13