Sorprende per realismo e schiettezza l'ultimo libro scritto dal Card. Carlo Maria Martini ("il vescovo", pp. 71-73, Rosemberg & Seller, dicembre 2011).
Riporto come esempio tre ficcanti pensieri a proposito delle congregazioni religiose. Il primo di essi amplia la notazione critica anche ai movimenti laicali cattolici.
"Si tratta di relazioni mutue, che quindi richiedono disponibilità da ambo le parti. E ciò anzitutto perché i religiosi, in particolare gli ordini religiosi e le congregazioni maschili, si sentono giuridicamente "esenti" dall'autorità del vescovo e quindi in grado di lanciare iniziative che possono collidere con il programma pastorale della diocesi. (...)
Lo stesso si deve dire anche dei movimenti, con la differenza che spesso i religiosi sono più obbedienti mentre i movimenti sfuggono a un rapporto speciale col vescovo. I movimenti, a cui accenno qui brevemente, sono per lo più un falso nome che viene dato a gruppi organizzati sotto una autorità molto esigente e quasi dispotica.
...
Come seconda cosa direi che tutti i religiosi, pur con le diversità che li caratterizzano, sono chiamati alla testimonianza del Vangelo della misericordia. È ciò che li qualifica come veri religiosi, non un imputazione puramente esteriore di un titolo o di un abito. Ne segue che non tutti coloro che si fanno chiamare religiosi sono veramente tali. Ricordo che la prima volta che incontrai (da vescovo n.d.r.) la rappresentanza dei religiosi, tutti gli interventi furono su questioni i rivendicazioni canoniche e su problemi giuridici. Alla fine dissi: "Dal vostro parlare non ho recepito niente di ciò che costituisce la sostanza della vita consacrata".
Terzo: non bisogna pensare che la pastorale diocesana parta solo dalla curia. Ogni iniziativa che abbia l'approvazione del vescovo è "diocesana". Il vescovo e il vicario generale devono avere una visione di Chiesa ampia e capace di integrare tutti".
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