giovedì 1 marzo 2012

Penetrare nel mistero del "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"

Tutto il racconto della passione è pieno di enigmi, di oscurità; è come un cielo in tempesta, con tuoni, lampi, fulmini che spaventano. Ma la parola per me più drammatica è quella che conclude il racconto evangelico, quando Gesù grida con vece forte: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mc 15,34). Ogni volta che la risentiamo, siamo presi da un brivido, perché, tolta dal contesto, potrebbe sembrare l'invocazione di un disperato, di uno che ha perso la fede, che è stato travolto dalle vicende avverse.
Eppure è proprio ascoltando questa parola che il centurione esclama: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!". Ovviamente l'evangelista legge in quel grido di Gesù la fedeltà di Dio.


Cercando allora di penetrare nel mistero del "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?", vorrei far notare che dal capitolo 14 di Marco, Gesù parla gradatamente sempre meno.  Il Gesù della Galilea, dei grandi discorsi, del Discorso della montagna, del discorso missionario, il Gesù delle lunghe dispute con i Giudei che ci è presentato soprattutto da Giovanni, dei detti pungenti, dopo il Getsemani entra a poco a poco nel più profondo silenzio. Una delle ultime parole da lui pronunciate è quella con cui si rivolge a coloro che sono venuti per prenderlo: "Si adempiano dunque le Scritture!" (Mc 14,49). Darà ancora solo brevissime risposte alle domande che gli vengono poste.
Si ha così l'impressione che Gesù si chiuda in se stesso, quasi come stupito, sconvolto dal diluvio di calunni, di malvagità, di interpretazioni perverse, di crudeltà che si scatenano contro di lui. È come se si chiudesse in se stesso per accogliere questo mistero di iniquità e per macerarlo dentro di sé per l'umanità.
È dopo il lungo silenzio di fronte agli accusatori di ogni tipo, di fronte ai maltrattamenti e alle ingiustizie che Gesù, nel momento della morte, esce con il grido: " Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". È la parola di qualcuno che, avendo interiorizzato tute le delusioni, le amarezze e i dolori del mondo, avendo sentito cadere sulla sua persona tutto il mistero della sofferenza e avendo cercato una ragione, un senso per questo terribile mistero, trova finalmente nelle Scritture la parola-chiave, il versetto che interpreta il suo vissuto, il salmo che spiega tutto: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".
Anche se in apparenza ogni cosa si rivolge contro di me e sono come abbandonato da Dio, questo era già scritto, è parte del mistero di Dio, delle Scritture, e dunque non può non manifestare quell'amore misericordioso del Padre che nelle Scritture è stato rivelato.
Mi sembra così di leggere in questa parola il grido di colui che, proprio al limite della più nera disperazione, ha trovato il significato di quanto sta vivendo nelle Scritture e nella volontà del Padre, volontà di amore e di salvezza.
Le Scritture permettono di comprendere il significato di tutti gli eventi straordinari che sono accaduti in questa terra, di quelli che devono accadere e che accadranno nel mondo. Perché il mistero che Gesù ha compiuto in se stesso e nel quale ha letto la volontà del Padre è lo stesso mistero che noi possiamo leggere e interpretare nella realtà di ogni giorno, nella realtà personale, ecclesiale, civile, sociale, politica.

Carlo Maria Martini, Verso Gerusalemme, pag. 36-37

1 commento:

Anonimo ha detto...

Sentirsi abbandonati da Dio è una sofferenza grande,vuol dire trovarsi di fronte al male abbandonati soli con il maligno che cerca di distruggere in tutti i modi il Figlio di Dio,riconoscere di non poter vivere senza il Padre,e preferisce morire per Lui,piuttosto che vivere in mondo pieni di mali.