giovedì 5 aprile 2012

I fondamenti della nostra comunione: Omelia nella Messa crismale del Giovedì Santo 2002


Milano, 28 marzo 2002

Mi lascio ispirare per questa omelia da quanto diceva il card. Giovanni Colombo -di cui ricordiamo quest'anno il centenario della nascita e il decennio della morte - nell'omelia della Messa Crismale del 1979, dal titolo "Verifica di comunione": "Celebrare la messa crismale comporta per il presbiterio e per il popolo di Dio il proposito di verificare la realtà vissuta della nostra comunione: se tutti camminiamo con lo stesso passo, se la giusta libertà dei figli di Dio non venga in noi insidiata da principi di anarchia e di aberranza…" E aggiungeva: "E' giusto - nella luce di questa revisione di vita - ravvivare la gioia della comunione fra noi; comunione che già c'è, ampia e salda, di una saldezza e di un'ampiezza che molte Chiese ci riconoscono. È giusto anche ringraziarne il Padre celeste " (Voce e storia della Chiesa ambrosiana, 3, 1983, p. 90).
Desidero anch'io ringraziare Dio per questa comunione, soprattutto per l'intenso cammino fatto a partire dalla messa crismale di due anni fa con l'iniziativa "Li mandò a due a due", che troverà oggi un momento culminante nella consegna da parte di ogni decanato della carta di comunione di intenti. Anche l'ultimo Consiglio presbiterale del 4-5 marzo scorso sullo stato della Diocesi e le caratteristiche di un nuovo pastore ha espresso la volontà di proseguire un cammino di comunione per divenire sempre più un presbiterio.
Io vorrei in questo omelia riflettere ulteriormente sui fondamenti di questa comunione, lasciandomi ispirare da un'altra parola del mio venerato predecessore, che scriveva nel 1965: " Se il Vaticano II non avesse dato altro frutto che la Costituzione De Sacra Liturgia, questo da solo basterebbe a renderlo immortale nella storia della Chiesa, vale a dire nella drammatica storia della salvezza delle anime " (Voce e storia…, 2, 1976, p.34).



Lo stimolo prossimo a verificare la radice della nostra comunione alla luce della costituzione Sacrosanctum Concilium mi viene anche dalla memoria che faremo quest'anno del quarantesimo dall'inizio del Vaticano II, che cominciò nell'ottobre del 1962 proprio con la riflessione sulla liturgia. Esso ebbe il suo primo frutto proprio nella predetta Costituzione , che fu conclusa nel cuore dei lavori del concilio stesso, il 4 dicembre 1963. Mi stimola anche una lunga riflessione che nel 1965, poche settimane dopo la fine del Concilio a cui aveva intensamente partecipato, don Giuseppe Dossetti proponeva alla sua comunità sulla Costituzione liturgica, considerandola come chiave ermeneutica dell'intero processo conciliare. Queste pagine, rimaste finora inedite e pubblicate solo in questi giorni, portano ancora tutta la forza profetica di questo grande servitore della Chiesa e della società.


Ma vorrei anche accennare a quei motivi particolari che rendono particolarmente ricco di emozioni questo momento di rilettura dei fondamenti della nostra comunione di presbiterio. Si tratta infatti probabilmente dell'ultima messa crismale che celebro con voi come vostro Arcivescovo. E in questo momento sento non solo una immensa gratitudine per tutti voi, a cominciare dai miei più stretti collaboratori, per i tanti segni di comunione ricevuti in questi anni, ma sento la presenza spirituale in mezzo a noi anche di tutti i preti malati che sto visitando in questi ultimi mesi e dei quali con ammirazione e commozione contemplo la grande dignità e lo spirito di fede con cui vivono difficili prove di salute e pesanti sofferenze. Penso anche a tutti i sacerdoti defunti in questi anni, in particolare quelli dei quali mi è stato dato di essere testimone di come negli ultimi momenti della vita si riassuma un'esistenza tutta offerta al Signore e alla Chiesa e purificata dalla prova.

Vorrei dunque interrogarmi sui fondamenti della nostra comunione, così da dare compimento e continuità anche per il futuro al cammino iniziato 22 anni fa, proprio con i ritiri quaresimali del 1980 al clero nelle diverse zone, che avevano come tema "la nostra coscienza presbiterale".
Si potrebbero menzionare molte ragioni attuali che ci stimolano a vivere profondamente la fraternità tra noi e a porci come un blocco ben compatto nella proclamazione della fede e nel servizio della Chiesa.
E' necessario oggi infatti fare, per così dire, barriera e stabilire un argine di fede contro il secolarismo e la frammentazione della vita. Urge una testimonianza unanime e coraggiosa di fronte alla dispersione e alla confusione delle opinioni nel nostro tempo.
Sentiamo inoltre l'importanza di sostenerci a vicenda nella perseveranza in una vocazione ardua ed esigente quale quella del presbitero e del diacono oggi. Per questo crescono le esigenze di rafforzare i legami e le occasioni di vita comune, di prevedere una breve ma incisiva regola di vita per ogni decanato, verificando le occasioni di incontro, di comunicazione nella fede e di preghiera condivisa. In particolare la difficoltà di vivere il celibato in una società che indulge ad ogni tipo di libertà sessuale suggerisce un maggior impegno della vita fraterna e anche nella coltivazione di una sana amicizia tra noi, per sostenerci a vicenda nella testimonianza della bellezza di una consacrazione totale a Cristo e del dono di sé indiviso alla Chiesa e ai fratelli.
Un'ulteriore ragione di stringere i legami tra noi la potremo anche cogliere nel confronto con altre religioni, in particolare l'Islam, che ci dà un esempio di compattezza che s'impone all'opinione pubblica e appare come posizione forte in un mondo debole e fiacco. Ma tutti questi rimangono ancora motivi esteriori rispetto al mistero della nostra comunione presbiterale. Se ci affidassimo soltanto ad essi non faremmo un'azione lungimirante e duratura. Siamo dunque invitati a riflettere sulla radice profonda della nostra comunione che troviamo in quel mistero che celebriamo in questi giorni, in questo "oggi" richiamato dalla terza lettura, cioè nel mistero pasquale, nella morte e risurrezione di Gesù rivissuta dalla Chiesa nello Spirito santo, in particolare nell'assemblea liturgica e su ciò che da essa deriva e ad essa riconduce.
Rileggendo la costituzione del concilio Vaticano II sulla liturgia noi troviamo che esso è tutta centrata in una maniera molto diretta, molto esplicita, molto formale e senza dubbio rigorosamente coerente, sul concetto che il contenuto fondamentale dell'annunzio e dell'attualità della vita cristiana è il mistero pasquale; cioè non solo genericamente il mistero di Cristo, ma peculiarmente il mistero della morte, della risurrezione della glorificazione del Signore Gesù.
Questo mistero è non solo annunziato ma è reso attuale nel mistero liturgico. In particolare l'assemblea eucaristica, la Chiesa riunita per la celebrazione dell'Eucaristia, cioè per la celebrazione del mistero pasquale, è veramente la Chiesa simpliciter, la Chiesa nel suo atto più puro, più completo; è la Chiesa che ricapitola tutti gli altri elementi, tutte le altre finalità, tutte le altre sue funzioni e attività in quell'atto, e da quell'atto trae il suo essere più profondo e anche il modello più tipico e più caratterizzante della sua stessa struttura.
Sicché il fondamento, la radice anche di tutta la struttura della Chiesa, e perciò il punto di riferimento a cui occorre risalire per potere, in una maniera univoca ed omogenea, affrontare gli stessi problemi istituzionali e strutturali della Chiesa, è precisamente l'assemblea liturgica. In essa la Chiesa si realizza nel suo atto più completo e perfetto in terra, l'atto che precede, per così dire, che giunge quasi al limite dell'atto eterno, e quindi tale assemblea è il modello, l'archetipo che possiamo avere presente della realtà più profonda della Chiesa e perciò anche delle linee fondamentali della sua struttura.
Questo non vuol dire che nell'assemblea eucaristica, come dice chiarissimamente la costituzione, venga riassunta materialmente tutta quella che è l'attività della Chiesa; ci sono degli atti prodromici e ci sono degli atti successivi, ci sono delle premesse e ci sono degli effetti. Ma mentre gli atti prodromici sono tutti orientati all'assemblea eucaristica e trovano in questa la loro giustificazione, il loro senso, la loro manifestazione e la loro espressione più attuale, così gli atti successivi, cioè gli effetti, sono in qualche modo già contenuti in essa e sono destinati ad essere di nuovo, per una specie di circolarità, che potremmo chiamare proprio la circolarità dell'eucaristia, ricapitolati nell'assemblea eucaristica stessa (G. Dossetti, Per una "Chiesa eucaristica", 2002, p.69-70).
Ho trascritto questa lunga citazione dalla conversazione sopra ricordata di don Giuseppe Dossetti perché mi sembra che in essa si esprimano con forza e incisività alcuni temi nodali della costituzione sulla sacra liturgia, da cui è possibile ricavare alcune conseguenze che qui anzitutto enuncio in maniera sintetica.
1. La nostra comunione presbiterale è radicata nel mistero pasquale, al quale veniamo associati in maniera particolare non solo mediante il battesimo, nel quale "morti e risuscitati con Gesù, riceviamo lo spirito di figli adottivi che ci fa esclamare: Abba, Padre" (SC n. 6); ma anche mediante l'imposizione delle mani del vescovo, per cui diventiamo partecipi del "ministero di Cristo Maestro, Sacerdote e Re, per il quale la Chiesa qui in terra è incessantemente edificata in Popolo di Dio, Corpo di Cristo e tempio dello Spirito santo" (PO n. 1). La nostra comunione nel mistero pasquale ha il suo fine nella lode a Dio da parte di tutta l'assemblea liturgica in comunione con la preghiera e l'offerta che Gesù "consacrato con l'unzione" (cfr. prima e terza lettura di oggi) fa della sua vita per il mondo. E' penetrando sempre più a fondo in questo mistero che noi consolidiamo la nostra comunione di presbiterio.
2. L'insistenza di questi anni sul primato della Parola va letta in relazione a questa visione di Chiesa eucaristica, chiamata a divenire una cosa sola nel mistero di Cristo morto e risorto, annunziato e proclamato dalle Scritture. Se ho ritenuto e ritengo che in questa epoca della storia si debba porre una particolare attenzione alla lettura e meditazione delle Scritture è dunque nel senso inteso da Gesù quando sgombrava il cuore dei discepoli di Emmaus dalla tristezza e dalla poca fede preparandoli, con la proclamazione di quanto nelle Scritture era detto su di lui, a riconoscerlo nella frazione del pane per poi annunciare ai fratelli la vittoria della vita sulla morte.
3. Anche l'insistenza sulla dimensione contemplativa e la preghiera personale (di cui è espressione privilegiata la lectio divina) va compresa in questo slancio verso una comunione e identificazione con Gesù e con la sua figliolanza divina, comunione che si esprime a partire dal battesimo e che ha il suo culmine nell'assemblea eucaristica.
4. Ogni nostra preghiera e lettura orante della Scrittura è dunque fatta in Cristo, affidandosi a lui che prega e loda il Padre in noi e lasciandoci invadere dal suo Spirito. La nostra debolezza e difficoltà nel pregare (che non va banalizzata, cfr. Rom 8,26) è perciò sostenuta è sorretta dalla preghiera liturgica e le due realtà (preghiera personale e preghiera liturgica) si collegano e si rafforzano a vicenda .
5. Tutte le altre azioni della Chiesa, come la catechesi, la testimonianza, la missione, le varie forme di diaconia, la vicinanza e la condivisione con i poveri, come pure i problemi della disciplina ecclesiale e dei rapporti istituzionali all'interno della Chiesa, ricevono da questa visione il loro giusto posto, la loro misura e i criteri della loro verifica.
6. Nell'assemblea liturgica si riassume dunque il senso e - come direbbe il Manzoni - il "sugo" della storia umana e vengono riscattate le vicende dei più poveri e dei senza storia.
7. Tutto ciò ha il suo culmine della liturgia della Gerusalemme celeste, dove il senso ultimo e la sintesi organica di tutti questi elementi ci sarà rivelato nella pienezza della gloria dei figli di Dio, che è la meta ultima e il criterio definitivo di ogni nostro agire nella storia, agire che da questo fine riceve luce, misura e forza.
Riprendo ora brevemente questi punti alla luce della Sacrosanctum Concilium.
1. L'assemblea eucaristica in atto è dunque la chiave interpretativa di tutto il mistero della Chiesa e perciò anche la radice ultima della nostra comunione in quanto presbiteri. Come dice la costituzione sulla divina liturgia "in quest'opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all'Eterno Padre" (n. 7). È qui che noi troviamo la chiave per intuire la vera natura della nostra comunione presbiterale: l'essere in modo speciale e attivo associati a Gesù Cristo per rendere in Lui, con Lui e per Lui culto a Dio. La lode di Dio, anticipo della lode eterna, è lo scopo di tutto l'essere della Chiesa ed è ciò che da forza, unità e gioia al nostro stare insieme.
2. Un'attenta lettura della Sacrosanctum Concilium mostra come non v'è contraddizione ma consonanza profonda tra l'importanza data all'ascolto e alla meditazione della Parola di Dio e la centralità della liturgia. "Massima infatti - dice il Concilio (SC n. 24) - è l'importanza della Sacra Scrittura nelle celebrazioni liturgiche... perciò è necessario che venga favorita quella soave e viva conoscenza della Sacra Scrittura che è attestata dalla venerabile tradizione dei riti sia orientali che occidentali". Parola e liturgia sono messe in stretta correlazione fin dal principio della costituzione conciliare. Essa dice infatti (n. 6): "Come Cristo fu mandato dal Padre, così anche egli mandò gli apostoli, pieni di Spirito santo, non solo perché annunziassero, con la predicazione del Vangelo a tutte le creature, che il figlio di Dio con la sua morte risurrezione ci aveva liberati dal potere di Satana e dalla morte, trasferendoci nel regno del Padre, ma anche perché attuassero, per mezzo del Sacrificio e dei Sacramenti, sui quali s'impernia tutta la vita liturgica, quella stessa opera di salvezza che annunciavano".
Per questo la proclamazione della Parola rimane parte fondamentale dell'assemblea liturgica, e affinché questa parola sia compresa e gustata durante il rito è necessario non solo che essa sia brevemente spiegata nell'omelia ma anche che essa sia approfondita attraverso la lettura, lo studio e la preghiera.
3. E' qui che si aggancia anche quella necessità della dimensione contemplativa e dell'orazione personale di cui ci parla la stessa costituzione liturgica. Essa dice infatti (12) che "la vita spirituale …non si esaurisce nella partecipazione alla sola Liturgia. Il cristiano, infatti, benché chiamato alla preghiera in comune, è sempre tenuto a entrare nella sua stanza per pregare il Padre nel segreto; anzi, secondo l'insegnamento dell'Apostolo, è tenuto a pregare incessantemente".

I due ritmi fondamentali della preghiera cristiana, personale e liturgica, sono dunque ben presenti al Concilio. Questa necessità anzi della preghiera personale, segreta, che si svolge sotto lo sguardo del Padre, è da intendersi come una preparazione per una piena partecipazione alla vocazione fondamentale di tutti alla preghiera comune e anche come una conseguenza e un effetto della medesima liturgia che si tradurrà poi nel sacrificio vivente di sé nella vita quotidiana. Continua infatti il Concilio: "Il medesimo Apostolo poi ci insegna a portare continuamente nel nostro corpo i patimenti di Gesù morente, affinché la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. E' per questo che nel sacrificio della messa preghiamo il Signore, che "accettando l'offerta del sacrificio spirituale" faccia "di noi stessi un'offerta eterna" (n. 12).
È importante dunque vedere la lettura della Scrittura e la preghiera personale sia come una preparazione che come un prolungamento della preghiera liturgica nella vita di ciascuno, che sfocia nel dono di sé.
4. Ho detto sopra che non bisogna banalizzare la difficoltà della preghiera per comprendere il sostegno che ad essa dà la preghiera liturgica. Vorrei a questo proposito citare un po' più a lungo l'autore già menzionato, che è stato anche un grande maestro di preghiera. Egli afferma che "tutti sappiamo e sperimentiamo che la preghiera è un impegno durissimo.
È inutile dire che la preghiera è una cosa bella, gioiosa, facile, entusiasmante perché non è vero, non è assolutamente vero. È tanto poco vero che quelli che pregano sono pochissimi e che pregano poco anche quando dovrebbero pregare...Tutti coloro che hanno un pochino tentato sanno che è cosa molto difficile, che bisogna pagarla cara, che bisogna pagarla con una grande purificazione, con un grande sforzo e poi che -anche quando si è pagato tutto questo- non si è pagato niente perché Lui la dà o non la dà secondo chi gli piace, e magari la dà quando non si paga niente e non la dà quando si paga molto, Lui è fatto così. Dato questo, non dobbiamo raccontare alla gente che la preghiera è facile, che ci sono modi facili di preghiera; i modi facili di preghiera non esistono, possono esistere dei momenti facilitati in maniera eccezionale da una bontà divina che ci vuole un tantino allettare, però normalmente non è così. Se fosse così le chiese sarebbero piene, la gente non farebbe altro che stare con la testa fra le mani e non si occuperebbe di mille altre cose. E, per contro, Lui ci ha detto che bisogna pregare sempre. La Parola di Dio e la liturgia, che è la sua proclamazione e ricezione dell'assemblea, è normalmente la stampella più naturale e più ovvia, predisposta dalla provvidenza divina alla nostra debolezza. Quindi dobbiamo rigenerare la fiducia nella liturgia…Sia per i principianti, per i quali la preghiera liturgica è la stampella più naturale, più ovvia e più consentanea al piano di Dio, sia per coloro che credono di avere già una vita interiore avanzata e molto personalizzata, la liturgia rettamente intesa è il trampolino di lancio anche per la contemplazione più alta…La preghiera sarà sempre un grande sforzo e un grande sacrificio, ma proporzionato alle forze dell'uomo nell'esperienza cristiana. Il Signore ha predisposto dei mezzi perché la gente preghi e noi non dobbiamo privarli di questi mezzi, anzi dobbiamo renderli consapevoli che questi mezzi facilitano di molto la preghiera pur essendo sempre mezzi che poi richiedono all'ultimo momento uno sforzo, un'opzione, un buttare il cuore al di là delle linee senza di che non si incontra nessuno " (Dossetti, pag. 71-72). Personalmente vorrei riassumere questo testo così incisivo in una sola frase: lasciar pregare Gesù in noi, come ci insegna la liturgia, è il modo più sicuro per confortarci e convincerci che, malgrado tutto, possiamo sempre pregare.

5. Tutto ciò che fa la Chiesa nella storia, tutto il complesso del suo agire per essere sale della terra e luce del mondo, ha il suo centro e il suo riferimento nell'assemblea liturgica. Anche ogni autorità nella Chiesa, lungi dalle eccessive preoccupazioni istituzionali, trova il suo fondamento nell'attuazione del mistero pasquale.
Ed è di qui che dovrebbe partire anche l'approfondimento del carattere episcopale di ogni liturgia, secondo quanto dice il Vaticano II indicando che il vescovo dev'essere ritenuto come colui dal quale "deriva e dipende in certo senso la vita dei suoi fedeli in Cristo". E il Concilio continua dicendo che per questa ragione "tutti devono dare la più grande importanza alla vita liturgica della Diocesi che si svolge attorno al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale" nell'intima persuasione che la maggiore manifestazione della Chiesa si ha appunto quando l'intero popolo santo di Dio si raccoglie nella partecipazione piena e attiva alle medesime celebrazioni liturgiche, "soprattutto alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondata dai suoi sacerdoti e ministri" (SC n. 41).
Di qui anche l'importanza della vita liturgica della parrocchia e del suo legame con il Vescovo, che devono essere coltivati nell'animo e nella pratica tanto dei fedeli che del clero. "Bisogna (quindi) fare in modo che il senso della comunità parrocchiale fiorisca soprattutto nella celebrazione comunitaria della messa domenicale" (SC n. 42).

6. Nell'assemblea liturgica si riassume tutto il senso della nostra vita e anche il significato della storia del mondo. Di quella storia che ha il suo senso nella vittoria sulla morte e diviene perciò la storia vera degli umili, dei piccoli dei poveri, anche di coloro che non hanno creatività o sono impediti nell'esplicitarla, che sono la maggior parte degli uomini, di tutti coloro che sono apparentemente "senza storia" (cfr Dossetti p.133). È questo ciò che ci permette di partecipare, dalla parte della vita e della dignità della persona umana, a quella lotta della vita contro la morte, della giustizia contro il sopruso e le disuguaglianze, del perdono contro la violenza che è il senso stesso della storia di salvezza. E' qui che troviamo la forza per "fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri…per consolare tutti gli afflitti, per allietare gli afflitti di Sion" (cfr prima e terza lettura).
Per questo la SC al n. 9, ricordando che la sacra Liturgia non esaurisce tutta l'azione della Chiesa, sottolinea che essa deve tra le molteplici sue attività "insegnare ad osservare tutto ciò che Cristo ha comandato ed incitare a tutte le opere di carità, di pietà e di apostolato, attraverso le quali si rende manifesto che i seguaci di Cristo, pur non essendo di questo mondo, sono tuttavia la luce del mondo e rendono gloria al Padre dinanzi agli uomini".
Perciò, pur essendo "la Liturgia il culmine verso cui tende tutta l'azione della Chiesa e la fonte da cui promana tutta la sua virtù…a sua volta, la Liturgia spinge i fedeli, nutriti dei 'sacramenti pasquali', a vivere 'in perfetta unione' e domanda che 'esprimano nella vita quanto hanno ricevuto nella fede'" e che vengano accesi dalla "pressante carità di Cristo". Di qui ne deriva "quella santificazione degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo, verso la quale convergono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa" (SC n. 10).

7. Abbiamo dunque cercato di cogliere il fondamento della nostra unità non tanto nella contingenza presente né nelle difficoltà esterne che dobbiamo affrontare, ma nell'intima radice del nostro sacerdozio che si manifesta e si attualizza in questa stessa assemblea liturgica.

Tutto ciò, e quindi anche la nostra comunione presbiterale che oggi chiediamo a Dio di consolidare e proteggere, ha il suo culmine e il suo riferimento ultimo nella Gerusalemme celeste. Dice infatti ancora il Vaticano II: "Nella liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste, che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario del vero tabernacolo; insieme con tutte le schiere delle milizie celesti cantiamo Signore l'inno di gloria; ricordando con venerazione i santi, speriamo di ottenere un posto con essi, e aspettiamo, quale Salvatore, il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, nostra vita, e noi appariremo con lui nella gloria " (SC n.8).
Fino a quel momento e guardando a quel momento la nostra comunione nella fede, nei sacramenti, nella preghiera, nel servizio pastorale e nell'amicizia fraterna sarà il sostegno e il conforto della nostra perseveranza.

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